Riflessioni sulla stagionalità e la comunicazione dei ‘prodotti’ agricoli
Caro contadino,
ti chiamo così, ma forse dovrei specificare di più. Perché tu non sei un agricoltore qualsiasi. Sei qualcuno da cui io scelgo di fare la spesa, perché hai cura dell’ambiente, fin dalle radici. Solo che, se ci metto accanto un’altra parola – come biologico o naturale –, iniziamo subito con delle discussioni, che vorrei evitare.
Ho molta stima delle aziende che non vendono i pomodori d’inverno, solo perché «la gente te li chiede». A me piace aspettare il tempo giusto per gustare i frutti della terra, perché sono sicura che la natura – al netto dei cambiamenti climatici, che sono un fatto acclarato – abbia un suo orologio. Anzi: ho bisogno di reimpararlo, perché tutto intorno va in un’altra direzione ed è facile perdere l’orientamento.
Da ex cittadina (anzi, milanese), ti assicuro che recuperare la stagionalità dei prodotti non è così banale. Dopo 10 anni di vita in campagna e di spesa umana, come io chiamo la relazione diretta con i produttori, inizio ora a prendere il giro. Da un lato ti dico: non è tutta colpa nostra, viviamo in un mondo strano, che si è scordato di tante cose, per inseguirne altre. Dall’altro: se le nostre richieste non hanno senso, non assecondarle. A lungo andare, te ne sarò grata.
Mi aspetto che tu sia un ministro della stagionalità e che il tuo prodotto me lo ricordi in continuazione. Non solo perché non voglio essere trattata da consumatore, ma proprio perché ti incito ad andare fiero di quello che fai. Piuttosto, educami. Costa pazienza, lo so. Ma è il tuo valore differenziante – in linguaggio marketing – e devi esserne cosciente e orgoglioso tu per primo.
Secondo me, siamo sempre di più che la pensano così: che davanti a un produttore o a una piccola realtà si aspettano non solo di comprare una merce, ma anche un sapere, un presidio, una cura dell’ambiente. E, non ultimo, una cultura del cibo; però non del cibo in quanto tale (l’edonismo del food mi interessa poco), ma del cibo in relazione alla natura e al territorio.
Dico spesso, anche in ottica zero waste: voglio smettere di comprare beni. Voglio comprare solo servizi. Comprare cibo da chi si prende cura dell’ambiente, per me, è comprare un servizio. In questo servizio non c’è solo fatica, ma anche intelligenza. Io nell’intelligenza ci credo; ma costa sacrificio e chiede un prezzo che non è sempre popolare.
Allora il mio consiglio di comunicazione di oggi* è una domanda provocatoria: vendi beni o servizi? Se scelgo di comprare da te, sono sicura che tu venda prima di tutto un servizio.
Se non vendi i pomodori d’inverno e se pratichi un’agricoltura di rispetto, che si preoccupa di tutto l’ecosistema, allora tu non vendi solo un prodotto, ma un servizio – i cui frutti sono tangibili e digeribili.
Stai valorizzando e raccontando il tuo ‘essere servizio’? Pensaci. Io non voglio essere trattata da consumatore seriale, ma anche tu non dovresti trattarti da semplice fornitore di beni. Fai in modo che la tua comunicazione parli di questo.
* Questo testo è tratto da ‘Semi di parole’, la serie di consigli di marketing e comunicazione che invio agli iscritti della mappa produttori di questo sito. Alla luce delle reazioni che ho ricevuto, ho pensato di pubblicarla.