Ci siamo ritrovati a Caratta ed è stato bellissimo

Finalmente un appuntamento come tanti ne vorremmo, in cui si parla di agricoltura ‘altra’ (cioè sana e sensata) a partire dalla viva voce dei protagonisti, che sono intervenuti raccontando la loro esperienza.

Qualche mese fa ricevo una telefonata da Giuliana – l’ecobiologa Giuliana Cassizzi, educatrice ambientale e attivista in prima linea per la candidatura della Val Trebbia a sito Unesco – che sta collaborando con la Fondazione Bertuzzi Losi per fare il punto e un primo inventario sulle neoruralità a Piacenza e provincia.

Ci intendiamo subito sul focus dell’indagine: neoruralità intese come non tanto come realtà agricole nuove o recenti (in certi casi anche), ma soprattutto come aziende non convenzionali, di nuova concezione, attente alla salute e custodia del territorio, alla sua fertilità biodiversità, e in definitiva alle sue tradizioni.

Qualche animo candido potrebbe pensare che questo sia proprio il compito dell’agricoltura. Dipende. Negli ultimi cinquant’anni lo sviluppo dell’agroindustria ha dimostrato ben poco rispetto per la salute dell’uomo, degli animali e degli ecosistemi, nonché per la conservazione e lo sviluppo delle comunità rurali. Al punto che, da tante parti, oggi si dice che l’attività più nociva per il pianeta sia proprio l’agricoltura (intensiva) e che gli scarichi più inquinanti nelle acque siano quelli dovuti all’uso dei pesticidi.

Bene, penso, è la stessa ricerca che sto facendo io! Sommessamente esulto, ben contenta di costruire sinergie. Da lì a 24 ore siamo già davanti a un caffè, dentro un fiume in piena di nomi, luoghi e impressioni che ci scambiamo con reciproca attenzione e curiosità.

«Hai visto quante belle realtà ci sono? E non lo diresti!». «Già. Peccato che sia tutto così frammentario e disgregato». «E per lo più sommerso. Pensa cosa sarebbe coordinare e valorizzare tutto come parte di una stessa rete, di un… ecosistema». «C’è davvero molto potenziale».

Giuliana mi parla dell’intenzione della Fondazione di organizzare una tavola rotonda a cui invitare anche qualcuna di queste stesse realtà agricole, scelte tra le più curiose e significative del territorio. Apprezzo subito l’idea di concepire una giornata dove i protagonisti siano i contadini, le storie, le esperienze, in cui il taglio sia concreto e non accademico-filosofico, e gli interventi attingano dalla realtà (dura, viva, coraggiosa, costellata di fatiche ma anche esiti felici).

Da parte mia, segnalo alcuni dei produttori che conosco e apprezzo. Con piacere metto a disposizione tutto il mio catalogo di contatti, non certo esauriente ma senz’altro orgoglioso, frutto di un lavoro di setaccio e di pazienza che ho cominciato anni fa: quale migliore occasione per far emergere gli invisibili che ho tanto a cuore, da comunicatore e prima ancora da consumatore? (Parolacce entrambe: le uso a piccole dosi e mentre le digito faccio smorfie, ma giusto per capirsi alla svelta).

Svariate settimane dopo, sono contenta di sapere che l’idea del convegno ha preso corpo, grazie ad alcuni partner co-piloti dell’iniziativa (Ciboprossimo e OSTEMI, Osservatorio dei Territorialisti di Milano), fino a individuare una data e uno spazio idonei e definitivi: appuntamento sabato 25 giugno alla Locanda dei Melograni di Caratta di Gossolengo, PC, sede dell’azienda agricola Lungacque, dedita alla permacultura e all’agricoltura sociale. Giuliana mi invita a partecipare con un breve contributo che racconti la mia esperienza. Ma volentieri!

Qualche mese dopo…

25 giugno, che poi era ieri sabato scorso. L’inizio è previsto alle 9 e questo è il programma ufficiale. Sarò la penultima a intervenire.

Arrivo a Caratta con un quarto d’ora di anticipo. Mi oriento subito grazie ai provvidenziali cartelli, ben visibili dalla strada e da entrambe le direzioni: Convegno qui (freccia), parcheggi lì (freccia).

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Questo del cartello è un dettaglio non scontato; chiunque si sia sforzato di farlo, sappia che è portato per la comunicazione – che è orientamento, innanzitutto, e in senso lato ospitalità :-) 

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Varco la soglia della locanda e subito noto un ragazzo, molto ben vestito, quasi da matrimonio, seduto a un tavolo che scrive. Contribuisce a dipingere di fronte a me un quadro d’altri tempi. Per il momento siamo noi due e nessun altro; non lo interpreto come invitato, né tantomeno come “azienda agricola”. Forse un ospite della locanda, o un elegante maître, responsabile dell’accoglienza.

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Scambiamo due parole e scopro che è Luca Modolo. «Ah, ma sei tu! Conosco benissimo il tuo miele e anche la tua mamma, che vedo sempre ai mercati. Non sei vestito da ‘agricolo’, però!». «No. Per una volta ho tolto l’abito dalle tarme». Per ora finisce lì; ma Luca sarà uno dei relatori che mi colpirà di più. Vedi sotto.

Salgo ai piani alti (il fienile della ex stalla, meraviglioso), saluto Giuliana e mi accomodo. Non c’è ancora nessuno.

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Via via la sala si riempie e tutto prende corpo e movimento, tra saluti, facce note e occhi curiosi. Chissà chi è quello… Chissà se mi ha riconosciuto…

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Diamo inizio alla giornata

Introduce la giornata il presidente della Fondazione, Dino Magistrati; poi la parola passa a un membro della stessa, l’architetto Lorenzo Spagnoli, che coordinerà gli interventi: occhi vispi, parole sapide e una bella vena ironica, dosata ma inconfondibile.

Poi è la volta di Giorgio Ferraresi, il professor Ferraresi, ex ordinario di urbanistica al Politecnico, docente illuminato che si è sempre speso per difendere il valore del territorio contrastandone il consumo e l’erosione da parte della città. Oggi è qui in veste di rappresentante di OSTEMI, l’Osservatorio dei Territorialisti di Milano che insieme a Ciboprossimo e alla Fondazione ha promosso l’evento, in scia a quello milanese di febbraio dal bellissimo titolo Contadini e complici, allora con focus lombardo.

Ecco qualche appunto sparso dall’intervento del prof.:

Il nostro obiettivo è dare corpo territoriale alle filiere dell’agricoltura contadina. Bisogna ripartire dal basso: la coesione è la vera chiave per contrastare i movimenti di merci internazionali. Non possiamo accettare che questa economia non abbia voce, né potere contrattuale.

La terra è la materia prima, non scontata, della ricostruzione del territorio. La direzione è la bioregione agrourbana, che integri le risorse ambientali e rurali.

Anche la grande distribuzione è una forma di espropriazione del valore. Pomodori di Pachino o di Pechino?

In rete ho rintracciato un video di un suo bellissimo intervento del 2008, in cui diceva: «Valorizzare il territorio vuol dire non segare il ramo su cui siamo seduti e fare in modo che gli elementi delle acque, dell’agricoltura, degli spazi aperti, diventino il punto di riferimento dell’urbanistica».

Chiude la parte introduttiva Giuliana Cassizzi, che racconta i suoi ultimi mesi in esplorazione sul territorio, ricchi di incontri, storie, scoperte, sorprese (per esempio i tanti casi di ‘agricoltura sociale’, che si incaricano dell’inserimento lavorativo di persone disagiate). Si capisce che Giuliana ama l’umano tanto quanto l’ambiente e che ha fortemente voluto la presenza dei contadini alla tavola: il fatto che questa fantomatica agricoltura ‘altra’ – o ‘periferica’ che dir si voglia – sia stata convocata da protagonista è stato il grande, grandissimo pregio di questo incontro.

Contadini per passione

Si entra nel vivo, nel cuore pulsante della giornata: la carrellata degli agricoltori che si presentano e parlano della loro storia ed esperienza. È previsto circa un quarto d’ora a testa, dunque si prospetta un ottimo ritmo (altra scelta furba).

Non è scontato che un contadino dedichi una giornata di sole, asciutta e dunque lavorativa (che sia sabato, è secondario) per venire “a parlare” di fronte a un pubblico. Grazie dunque ai convenuti e un grazie doppio a chi è rimasto sino alla fine, ascoltando anche gli interventi sulla comunicazione ;-) 

Lungacque

Il primo a parlare è Alessandro Fontana di Lungacque, l’azienda annessa al bellissimo locale che ospita l’incontro. In questo caso il tema è la permacultura, di cui qui non solo si applica il metodo, ma si tengono anche regolarmente corsi di formazione (coordinati dalla dottoressa Anna Satta, esperta di agricoltura sinergica), che richiamano contadini e appassionati da tutta Italia.

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Ciò che si ricerca con questo sistema non è solo la massima naturalità, ma anche soprattutto la sinergia tra gli elementi: «Venendo a mancarne uno, ce n’è sempre qualcun altro che può supplire». Una sorta di esercizio di solidarietà cooperativa, che in natura risulta istintivo. Tra tutti gli elementi, spicca l’importanza dell’acqua, utilizzata per l’irrigazione, per l’allevamento semiestensivo di pesci autoctoni e, in prospettiva, come conferimento di acqua pubblica. Altre cose in cantiere sono la creazione di piccoli moduli di orti familiari in adozione e la continuazione del progetto di agricoltura sociale.

Tra le curiosità che mi sono appuntata spicca la difficoltà della permacultura a corrispondere agli standard burocratici. Per esempio questo metodo non prevede l’uso di trattori, dunque non ha accesso ai finanziamenti relativi; oppure deve comunque richiedere agli enti preposti l’autorizzazione per uno scarico di acque reflue, benché l’ecosistema così progettato non ne preveda. Insomma è qualcosa di un po’ fuori dagli schemi, che si fa fatica a far rientrare nei binari. 

Terre di San Giorgio

Assente, perché malato, Matteo Gazzola dell’azienda agricola Terre di San Giorgio, azienda di trasformazione del pomodoro per la produzione di conserve (con l’intento esplicito «di riprodurre in grande scala quello che si fa nelle migliori cucine casalinghe», recita il sito), una delle pochissime realtà della provincia ad avere ottenuto il marchio Demeter per la certificazione biodinamica.

Campo dei frutti

Grande atteso il dottor Fausto Repetti, agronomo e anima operativa del Campo dei frutti, l’azienda che ha per simbolo la foto di una mano che coglie una mela dal ramo, accompagnata dal sottotitolo: Ci occupiamo di tutto, tranne che della raccolta. 

Qui è stata geniale l’idea: mettere a disposizione un frutteto alle porte della città, dove gli stessi consumatori possano rifornirsi direttamente dall’albero. Ciò permette non solo di fare un’esperienza ormai dimenticata (cogliere frutta, scegliendo quella che si presenta come in quel momento ‘pronta’ o migliore, eventualmente assaggiandola – e senza doversi nemmeno arrampicare, grazie all’“impalcatura bassa” delle piante), ma anche di mantenere i prezzi equi, oltre a garantire la «provenienza certa», che è uno degli elementi più apprezzati dai consumatori attenti.

Dal punto di vista delle tecniche, Fausto si vanta di aver imparato a tenere a bada le invasioni degli insetti della frutta grazie ad alcune scaltrezze (per esempio raccogliere in più fasi, senza lasciare che la frutta matura resti sull’albero) e soprattutto alla tecnica della confusione sessuale – di gran lunga preferibile all’uso degli insetticidi, di cui tra i frutticultori si fa grande abuso (benché noi acquirenti queste cose preferiamo non saperle, anche perché a occhio nudo non si vedono; e più la frutta è bella esteticamente, e meno è cara, più è facile che sia stata trattata). Piccoli trucchi, rivela, esito di conquiste orgogliose, ma anche onerose.

L’intervento di Fausto Repetti del Campo dei frutti di Borghetto PC.
L’intervento di Fausto Repetti del Campo dei frutti di Borghetto PC.

Sul fronte del metodo, il Campo dei frutti non è bio in senso stretto, per una scelta «filosofica, prima ancora che pratica». In ogni caso tutti i trattamenti sono dichiarati in modo trasparente (le faq del sito sono già di per sé uno stimolo alla riflessione), i filari sono molto radi (5 metri, dunque le piante vedono tutte il sole) e la resa produttiva è bassa e ridicola rispetto agli standard richiesti dal mercato (1000 quintali in tutto, per un frutteto di otto ettari). Inoltre, i frutti vendibili non si accontentano di essere «a residuo minimo consentito, ma puntano al residuo zero». Fausto, che ha un passato di agronomo nel settore convenzionale, ci tiene a ribadirlo: questa non è «frutta vestita da frutta, che deve durare 4 giorni sullo scaffale e poi risulta immangiabile».

In conclusione, dice Repetti:

Il consumatore chiede:

  • buon sapore
  • provenienza certa
  • trasparenza nelle cure e nei trattamenti.

E questi sono i nostri punti di forza.

Segue una carrellata di domande, più o meno tecniche, che fanno emergere quanto la frutta sia un argomento importantissimo per tutti, capace di suscitare grande curiosità e grande discussione. E le istituzioni? «Ci vengono a cercare, come no. L’ultima volta che si sono fatti vivi è stato per farci una multa per il cartello esposto…».

Tra le curiosità, la carenza di potatori e l’elogio di quelli romagnoli, importati stagionalmente dal cesenate, omini over 65 di cui si è perso lo stampo, che con due zac-zac ti rifanno la pianta e che, «d’accordo di cominciare in campo alle 7.30, alle 7.15 ti hanno già finito tutto il primo filare».

Gallettificio Val Tidone

Qui escono due ragazzi, che non conoscevo, Alberto Vignati e Laura Cignatta: rispettivamente 24 e 28 anni, laureando e dottoressa in agraria, entrambi già coinvolti nelle imprese di famiglia a indirizzo cerealicolo, con sede a Calendasco e Borgonovo V.T.

Raccontano che si stanno attrezzando in modo congiunto – con il “contratto di rete”, una speciale forma di collaborazione tra imprese, disciplinata in anni recenti – per produrre gallette a partire dalla coltivazione dei cereali, nel loro caso mais tipo marano e grano saraceno (che in realtà è uno pseudocereale della famiglia delle poligonacee, come il rabarbaro o come i romici, infestanti difficili da sradicare).

Punti di forza: il controllo più ampio possibile della filiera, dalla coltivazione del chicco alla trasformazione finale, con l’acquisto degli impianti principali e la piena garanzia di tracciabilità dei passaggi esterni all’azienda. Poi il fatto che si tratti di prodotti naturalmente senza glutine.

A breve, dicono, sarà online il sito omonimo. Nel frattempo, per gradire, ci hanno portato una consistente fornitura che assaggeremo nelle pause e al buffet (provate: buonissime).

Su di loro ho visto che c’è online anche un bell’articolo di una testata locale.

Al caffè di metà mattina li avvicino e mi presento. Confido loro quella che sarebbe stata la mia domanda, che non ho osato fare in pubblico. Il mondo del nutrizionismo, che frequento, boccia le gallette denunciando il fatto che il chicco, trattato ad altissime temperature, perde le proprietà originarie e in compenso guadagna in amido, cioè colla; con qualche conseguenza anche per l’impatto glicemico.

Mi rispondono che, nel loro caso: i chicchi sono integrali (hanno subìto la sola decorticazione per togliere la pellicola esterna indigesta, per il resto non vengono né raffinati, né triturati, cioè rimangono integri e completi della loro fibra); le materie prime selezionate hanno apporto glicemico contenuto, dato che è stato scelto un mais di tipo vitreo, cioè poco farinoso, e il grano saraceno, che non è un cereale e ha un apporto, semmai, principalmente proteico. Per me la risposta risulta soddisfacente, tanto più se questi alimenti vengono inseriti con giudizio e all’interno di una dieta bilanciata; e capisco anche bene che questo tipo di prodotto, così curato e ragionato, è preferibile a tanti altri che negli ultimi anni sono proliferati sugli scaffali; in ogni caso invito Laura a intervenire nei commenti, se volesse aggiungere qualcosa.

Cantina I Perinelli

Cinzia Colombi racconta la storia recente de I Perinelli, storica azienda vitivinicola fino a qualche anno fa conferitrice di prestigiose cantine della zona (Quattro Valli, Romagnoli) e dal 2012 gestita da un progetto a scopo biologico e sociale, in collaborazione con i dipartimento di salute mentale dell’Ausl di Piacenza e con la Cascina Clarabella di Iseo BS.

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Con orgoglio, Cinzia dichiara i risultati: la conversione al bio quasi completata; a buon fine gli inserimenti lavorativi di persone con disagio psichico e sociale al termine della maggior parte dei tirocinii (riguardanti il lavoro in vigna e la ristrutturazione della cascina); l’azienda si è di nuovo dotata di una cantina ed è finalmente tornata autonoma nella vinificazione (per il momento con il gutturnio frizzante).

Se visitate l’azienda, nella prima Val Nure (vicinissimo a casa mia! nel caso avvisate), sappiate che conserva un torchio del Cinquecento perfettamente conservato, segue foto.

La cantina fa inoltre parte dell’associazione Valore Valnure, una bella realtà che raduna un gruppo di produttori e ristoratori della valle omonima per organizzare insieme eventi di promozione e degustazione, valorizzando le specialità e i luoghi del territorio.

Verde lattuga

Che sono fan di Paolo Rossini, credo di averlo già dimostrato in questo post. Ma, se la maggior parte delle aziende agricole che conosco le ho incontrate camminando o ai mercati contadini, con Paolo è andata diversamente: è affiorato ai miei occhi a partire da un articolo del Corriere della Sera, che per primo lanciava il caso: Io, elettricista, lascio tutto e scelgo le mele. Ora coltivo frutti antichi. L’attacco era irresistibile: «Ha riposto pinze, interruttori e fili elettrici per andare alla ricerca dei sapori perduti»; e in ogni caso si parlava di un territorio raggiungibile a piedi da casa mia (in un giorno di cammino): Mareto, a mille metri in val Nure, poco sotto le pendici del Monte Aserei.

Oggi Paolo, oltre a essere uno dei personaggi più bloggati della provincia (vedi anche l’articolo che Giuliana gli ha recentemente dedicato sul suo neonato blog), inizia a essere interpellato dai colleghi come esperto in agricoltura sinergica, e ad essere sempre più noto in zona come contadino autentico e con gli attributi, capace di tenere fede a regole severe e di produrre roba buona e incontaminata.

A prendere la parola per prima è Laura, la sua compagna e – si intuisce – il suo sostegno (anche operativo: gestisce la pagina FB e gli aspetti più comunicativi, non a caso lavora in biblioteca). Ci tiene a fare una premessa etica sui princìpi che ispirano la filosofia di Verde Lattuga: biodiversità, lentezza, rispetto, umiltà (che spiega così: «non padronanza, ma appartenenza»). La sua dolcezza femminile e il suo tono di voce rappresentano in pieno quanto descrive.

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“Fare l’amore su un fiore. Un dolce, lunghissimo, abbraccio d’ali”. Foto e didascalia di Laura Ghisoni. [L’orto di Paolo assomiglia molto a un giardino! nda].
Paolo racconta del suo lavoro, che comprende la cura di un orto scoperto e coperto (sotto due ampie serre), ma sempre di stagione.

«Tutto è alla luce del sole, in tutti i sensi: c’è trasparenza al 100% e chiunque venga a trovarmi può vedere come lavoro». Paolo si autoproduce tutte le piantine a partire dai semi, esclude gli ammendanti e tutte le risorse che non siano di provenienza vegetale (compreso il letame). In compenso pratica il sovescio, sfrutta le consociazioni tra gli ortaggi, canalizza l’acqua piovana e incentiva la presenza dei fiori, la cui sinergia nell’orto è preziosissima – si pensi al richiamo degli insetti impollinatori.

Il progetto è in continua evoluzione e ha già subìto diversi adattamenti, per adeguarsi al clima e all’habitat in cui si è insediato. Per la vendita, oltre che sul posto, sarà previsto l’utilizzo di un corriere che consegnerà in tutta la provincia.

Luca Ardigò

Siamo di nuovo a Mareto, a pochissima distanza da Verde Lattuga, con cui c’è in vista una collaborazione legata alla fornitura di paglia, utilissima per la pacciamatura. Luca è timido e tenero; parla il minimo indispensabile, giusto qualche minuto.

Affiora un grande amore per la montagna, condita da una punta di nostalgico realismo: «Mareto è uno dei tanti paesi montani che purtroppo stanno scomparendo. Se cambia il numero degli abitanti, vuol dire che sono stato al funerale». Eppure, dice, non farebbe mai cambio con la città: tutto ciò che ha lì gli basta e lo rende felice.

Ha recuperato l’azienda dei bisnonni e ora alleva mucche da carne (in prospettiva punta alle vacche piemontesi); ma ha anche cavalli e un pollaio. Per altri dettagli rimando all’articolo di Giuliana, che è già stata a trovarlo.

Ashram Surya Chandra

Franco Bonisoli parla a nome di un gruppo di una decina di persone, tutte presenti tra il pubblico e coinvolte nell’azienda agricola sorta intorno all’ashram ‘Surya Chandra’ (sole e luna) di Gabriella Cella, maestra di yoga di fama internazionale e fondatrice del metodo dello Yoga Ratna, nonché dell’omonima scuola, prolifica di insegnanti.

L’azienda agricola si trova a circa 600 metri di quota, nei pressi di Bettola in Val Nure. I lavori sono iniziati diversi mesi fa, con lentezza e pazienza, nel profondo rispetto dei ritmi della natura e sulle orme di un precedente agriturismo abbandonato. Il metodo adottato è quello dell’orto sinergico: «Un modo apparentemente libero e anarchico. Ma alla sera, in modo quasi magico, il puzzle trova sempre il modo di comporsi». Anche qui, chi volesse approfondire può leggere l’articolo di Giuliana Gli amici dell’ashram.

Bancali e pacciamature a parte, si capisce che l’esperienza principale e fondante è l’esercizio della vita in comune, ricco di concretezza e di sobrietà, nonché di profonda forza spirituale: «Già tra di noi costituiamo una sinergia».

Ammetto che mi ha molto emozionato vedere Gabriella Cella tra il pubblico. Ho seguito diversi suoi seminari di yoga e la situazione è sempre stata invertita, quella tra il pubblico ero io :-)

Luca Modolo

È stato un po’ l’uomo rivelazione della giornata; anzi dovrei dire ragazzo, dato che ha 27 anni – ma dopo averlo sentito parlare abbiamo tutti messo in dubbio la sua età. Cultura solida, idee chiare, un gran bello spirito di cooperazione.

Luca è ricco di intenzione, di esperienza e di memoria storica (sembra incredibile, data la sua età). Con l’azienda di miele dei suoi genitori, che oggi porta il suo nome, ha fatto parte di Biopiace, gruppo di una ventina di produttori biologici valnuresi che già vent’anni fa si erano certificati e organizzati in consorzio, ottenendo visibilità e un ottimo riscontro, anche presso il mercato estero. Poi l’esperienza è naufragata e oggi in tanti si chiedono che fine abbia fatto quel marchio, con l’annesso Natural Valley, sinonimo di eccellenza produttiva proveniente da un habitat incontaminato.

Luca lascia intendere che l’esperienza è naufragata in seguito a un cambio di timone e anche perché la carenza di offerta (rispetto alla domanda!) è stata supplita con l’ingresso nella compagine di realtà convenzionali, che avrebbero inquinato la purezza e la reputazione del marchio. Ma Luca ci assicura che l’intenzione è di tornare a rilanciarlo.

A un certo punto cita Confucio. Interrogato da un discepolo su quale forza possa essere eliminata per il governo di una città, dovendo scegliere tra esercito, cibo e fiducia, il maestro risponde:

Togliete l’esercito.
Piuttosto, se siete costretti, togliete anche il cibo.
Ma non togliete mai la fiducia: senza quella, la città non starà in piedi.

Luca lavora in azienda e ai mercati, soprattutto nel milanese; e, come se non bastasse, studia veterinaria. Della provincia di PC si lamenta che ad oggi non esista ancora un mercato contadino biologico ufficiale di riferimento (vero!).

Nel 2015 Luca Modolo ha vinto la medaglia d’oro nel prestigioso premio internazionale BIOLMIEL dedicato al miele biologico.

Slow Food Piacenza

In questo caso ho preferito ascoltare, che prendere appunti; anche perché Fernando Tribi, da due anni fiduciario della condotta di Slow Food Piacenza, aveva un’energia e un ritmo travolgenti; dunque ora vado a memoria.

Ho comunque un ricordo chiaro della qualità del discorso, in cui mi sono riconosciuta e da cui, nello stesso tempo, imparavo. Abbiamo tutti in mente Slow Food come una grossa realtà, dai tratti anche un po’ “istituzionali”; eppure al cuore, ispirata allo storico manifesto del «buono, pulito e giusto», c’è ancora un’inattaccabile sostanza.

Siamo nati anche un po’ con lo spirito dei gaudenti. Ma il cibo oggi è molto di più: è una lente, un paradigma sociale.

Parla del successo del vino, nostra gloria locale e mondiale, che alla base deve sempre mantenere un legame con la vigna (secondo la triade: vita, vigna, vino). Cita l’accurato lavoro della guida di Slow Wine, con una verifica sul territorio non scontata e anzi sottolineata dalle stesse cantine: Era dai tempi di Veronelli che i redattori di una guida non uscivano a vedere le vigne.

Annuncia che l’appuntamento annuale con il Salone del gusto di Torino si presenterà nel 2016 con due cambiamenti significativi. Uno legato al titolo: Terra Madre non sarà più un’apposizione a seguire, ma diventerà il titolo principale, a riportare l’accento sul pianeta terra e le sue risorse. L’altro legato alla location, non più dislocata e segregata al Lingotto, ma aperta, diffusa e partecipata, distribuita per la città di Torino.

Riguardo al nostro territorio, Tribi cita il caso dell’unico presidio, la mariola. È un salame dalla lunga stagionatura e con caratteristiche particolari: solo carni fresche e non conservate da maiali in salute e non sottoposti a stress, ormoni e antibiotici, né alimentati con ogm; non più del 30% di parti grasse; banditi aromi di sintesi, conservanti, nitriti; insaccatura nel budello dell’intestino cieco ecc. Complice la nascita sull’A1 del Bistrot – Fiorenzuola d’Arda, il primo autogrill di nuova concezione basato sui prodotti freschi e le eccellenze locali e gestito da Slow Food in collaborazione con l’Università di scienze gastronomiche di Pollenzo CN, oggi la domanda di mariola ha subìto una brusca impennata e l’offerta risulta di gran lunga insufficiente a sopperire alle richieste. Dunque si attendono nuovi produttori, che affianchino il salumificio tradizionale Fratelli Salini di Groppallo, che al momento è l’unico in grado di effettuarne la lavorazione. È dunque anche una questione di trasferimento e di continuità di conoscenze.

Annuncia anche l’esistenza di una app in continuo aggiornamento, Slow Food Planet, che funge da geolocalizzatore per tutte le realtà che Slow Food si sente di segnalare (luoghi di ristorazione, di produzione e botteghe di prossimità) e che si appresta a recepire e mappare anche le eccellenze del piacentino.

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Pausa. Buffet ottimo. Peccato solo aver mangiato poco, un po’ perché ho preferito concentrarmi sulle pubbliche relazioni e un po’ perché poi dovevo parlare, e in questi casi di solito vado un po’ in stand by.

> Continua con la seconda parte: Chi coltiva, chi compra e chi ne parla – A Caratta, parte 2

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