Cosa rimane dopo il lockdown? Abbiamo perso un’occasione

Premessa di Antonella G.: ho chiesto a Luca Zanotti – con cui spesso mi confronto a proposito di agricoltura biologica, stagionalità e vita contadina – cosa rimane dopo il lockdown dell’incontro con i piccoli produttori locali e, più in generale, del cambiamento che in tanti desideriamo. Mi ha risposto attingendo alla sua esperienza, al suo osservatorio e ai suoi studi di antropologia.

Cosa ci ha lasciato questa prima grande onda di incertezza provocata dal Covid? Cosa è cambiato davvero nei nostri comportamenti e stili di vita?

Anche se una prima fase della tempesta ce la siamo lasciata alle spalle, certamente ci siamo ancora dentro. In tutta sincerità non ci ho mai sperato, ma all’epoca della quarantena sembrava davvero si potesse far spazio a qualche piccola grande rivoluzione… e invece nulla.

Il lockdown e lo stato di emergenza sanitaria hanno imposto un generale rallentamento dei ritmi. In quel caos calmo sembravano delinearsi quegli auspicabilissimi stili di vita che in pochi sono poi riusciti a mantenere.

La vita di ogni giorno si ispirava a inedite espressioni di semplicità, sobrietà, nuovo senso della realtà. La vita di tanti, stravolta, aveva preso una piega inaspettata che, curiosamente, aveva un senso. E quel senso mostrava tutti i limiti della vita di prima.

Come al solito, quando voglio impostare un qualsiasi discorso, ho il vizio di partire dalla terra. Faccio allora un esempio pratico applicato al mio settore, che possa dare almeno un’indicazione di cosa è successo (o non è successo) nelle settimane di quarantena.

Prendiamo la questione di quella che tu chiami spesa umana.

Ndr. Spesa umana è la spesa fatta dai produttori che conosciamo direttamente. Una spesa locale e di relazione. Ne parlo meglio qui: Perché non amo l’espressione ‘spesa consapevole’ e come la sostituisco.

L’assalto ai contadini e il boom della spesa di prossimità

Com’era prevedibile, i contadini sono stati presi letteralmente d’assalto. Improvvisamente, per forza di cose, tutti a puntare sulla prossimità. “Dietro casa” era già troppo lontano, dato che non si poteva uscire. Così, ben vengano le consegne a domicilio. Ecco il boom.

Le aziende si trovano a dover far fronte a una mole di richieste senza precedenti. Molte di queste già votate alla vendita diretta, ma la maggior parte strutturate per volumi ridotti. E allora investire, moltiplicare, correre. Nuovi clienti, tanto lavoro, tanta soddisfazione.

E poi, al primo giorno di supermercati aperti, che è successo? Flop. Una marcata inversione di marcia. E un po’ lo stesso è successo anche ai negozianti di quartiere, alle piccole botteghe e compagnia bella. Era stata acquisita una buona abitudine, bene o male consolidata nel momento del bisogno. Ma chi ha vinto, poi? A mio parere, chi di questi tempi vince sempre, senza neanche più dover giocare: la comodità.

A riprova di ciò, potrei mettere sul piatto una piccola eccezione, che conferma la regola. In particolari situazioni e contesti, quelle piccole realtà che sono riuscite a garantire un upgrade in termini di comodità, ancora oggi vengono preferite al resto. Non sono state messe da parte, ma tenute in considerazione e diventate normalità. Tipo: se la piccola bottega che ho cominciato a frequentare in tempi di lockdown ha cominciato a portarmi la spesa a casa, cosa che prima non faceva, ora continuo a servirmi da lei, perché in fondo è pure più comoda del supermercato.

Germoglio di fagiolino bio
Aprile: germoglio di fagiolino biologico nella pianura tortonese (AL).

Abbiamo un pessimo rapporto con il sacrificio

Allora oso: continuo a credere che alla base di ogni scelta, dalla più alla meno razionale, ci sia il rifiuto della fatica, del sacrificio.

Del resto la società moderna non si basa su questo profondo distacco (e su altre distorsioni percettive)? Fin troppo evidente nel mondo del lavoro, dove vige il rifiuto netto e categorico verso tutte quelle mansioni che implicano un minimo di sforzo fisico o mentale in più. Con tutta probabilità altrettanto evidente in quello delle relazioni.

I sistemi di valori sono letteralmente capovolti: non c’è più voglia di fare fatica.

Perché qual è il collante che ieri ci teneva insieme? Cosa manca, che oggi ci divide? Sono convinto abbia a che fare con l’accettare fatica e sacrificio.

Penso davvero che non ci sia più voglia di fare fatica: me ne accorgo dal modo in cui alcuni sistemi di valori si sono letteralmente capovolti.

La fatica è un peso che si preferisce caricare ad altri. Meglio a te che a me. Fino a qualche anno fa, essere un gran lavoratore era un bel complimento. Oggi sei un dritto se guadagni tanto – e non certo se lavori tanto, ma ancor meno se fai un lavoro che prevede una certa dose di fatica. E non parlo solo di sudore, mi riferisco anche a tutte quelle piccole rinunce che ci permettono poi poter godere di tutto il resto. «Perché senza l’amaro, amico mio, il dolce non è tanto dolce».

Franca Valeri - Einaudi Editore.
Franca Valeri, Il secolo della noia, Einaudi Editore.

Un nuovo diritto: la comodità

Ecco, tutto questo viene cancellato dal diritto alla comodità.

E a proposito di fatica, è curioso come nel mondo occidentale siano proprio i tre aspetti fondanti la vita quelli maggiormente rifiutati: la fatica, il dolore, la morte. Non vengono considerati, spaventano, sono scacciati come fantasmi. Eppure ci sono, estremamente ed eternamente presenti. Sono forze che muovono il tempo e come tali fanno parte dell’atto di vivere di ogni giorno: quando mancano la vita si smaterializza, diventa vuota ed effimera. Rifiutandoli, dove pensiamo di andare?

In questi termini, il cambiamento predicato è una grande bugia. Io non lo vedo, non lo sento intorno a me. Se ci fai caso, negli stili di vita post Covid tutto, o quasi, è rimasto come prima. Alle spalle ci siamo lasciati un tappeto di mille promesse non mantenute. Che fine hanno fatto tutti quei buoni propositi? Quante belle parole si sono tradotte in fare?

Dal mio punto di vista, la quarantena ha insegnato poco. Si è parlato tanto di ritorno all’essenziale, di bisogni e servizi primari, di lavoro vero. Ma è stato un ritorno parziale e momentaneo, durato il tempo di un’emergenza. Un riconoscimento forzato, che suona più come una presa in giro.
Un esempio lampante è il caso degli operatori sanitari: strumentalizzati, su un piedistallo che già traballava, a prendersi per qualche settimana gli onori che andrebbero riconosciuti loro ogni giorno, per poi tornare, come da copione, dietro le quinte.

La comodità crea dipendenza

Siamo ufficialmente tornati alla normalità, nei modi di vivere, al soldo delle comode abitudini. La comodità ci frega, insieme al rifiuto categorico di alcuni aspetti fondanti, negativi, che cerchiamo di tenere alla larga, illudendoci di poterlo fare… fino a quando?

Ci pensiamo sottomessi al denaro, o al potere, che consideriamo gli idoli più affascinanti e persuasivi. Ma chi davvero ci comanda a bacchetta è la comodità. È la fregatura più grossa: oggi ce la vendono o addirittura ce la regalano, ormai ce l’abbiamo in omaggio di diritto. L’abitudine fa il resto, e come qualsiasi altra evoluzione di una dipendenza, col tempo le dosi devono aumentare per poter procurare sempre lo stesso effetto. Ma se la vita è altro, come uscirne?

Ecco, per un attimo ho pensato che un’emergenza di questa portata potesse diventare proprio quella via di fuga. Un’ottima scusa per fermarsi, riflettere, realizzare, senza doversi sentire in difetto, in errore. Ho pensato potesse aprire un varco, uno spiraglio, suggerire quel cambio di rotta possibile. Ma temo che nulla di tutto questo sia accaduto. In questo senso abbiamo perso una grande occasione.

Foto di copertina: Foglia di cachi a metà strada fra estate e autunno. Questa e le altre foto sono di © Luca Zanotti.

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