Pesticidi: cosa sono e perché fanno (molto) male

I pesticidi fanno male sì o no? Ho provato a raccogliere un po’ di informazioni da fonti attendibili.

Per prima cosa partiamo dai significati. L’esigenza principale è difendere l’agricoltura da calamità e organismi infestanti e nocivi, fortemente dannosi per i raccolti, la produttività, gli interessi umani.

Pesticidi, cioè?

Pesticidi = sterminatori di flagelli varî. Si distinguono, a seconda dell’antagonista, in insetticidi, erbicidi (o diserbanti), fungicidi, anticrittogamici (o antiparassitari), acaricidi, antimuffa. È sottinteso che si tratti di sostanze chimiche, anche piuttosto aggressive.

Fitofarmaci o fitosanitari = medicine per le piante, dirette a sconfiggere parassiti vegetali (fitocìdi) o animali (zoocìdi).

Dunque, genericamente parlando, pesticidi e fitofarmaci sono grossomodo sinonimi. Il resto è chimica, e lì mi fermo, perché non è il mio campo. Prima, però, voglio segnalare un passaggio della voce Fitosanitari della Treccani on-line, che stranamente va un po’ oltre la pura definizione:

La necessità di limitare le ancora rilevanti perdite della produzione agricola, al fine di incrementare la produzione alimentare mondiale, deve confrontarsi con altre esigenze […]. La difesa fitosanitaria infatti è stata, e in gran parte resta ancora, incentrata sull’uso massiccio di fitofarmaci chimici di sintesi, impiegati per eradicare le diverse classi di organismi dannosi.

L’uso, soprattutto se irrazionale, dei prodotti chimici di sintesi ha portato, tuttavia, all’insorgenza di numerosi effetti secondari non desiderati: instaurarsi di meccanismi di resistenza genetica nei parassiti; alterazione degli equilibri ambientali con la scomparsa di organismi utili e comparsa di nuove specie parassite; accumulo di residui di fitofarmaci nelle acque e nel suolo».

Gli scopi sono chiari e non particolarmente edulcorati: per esempio qui, per fortuna, non si parla della missione di risolvere la denutrizione e fame nel mondo, con cui spesso l’agroindustria si riempie la bocca, ma più descrittivamente di «incrementare la produzione alimentare mondiale» e «limitare le ancora rilevanti perdite della produzione agricola». Fin qui bene, nulla da eccepire; molto meno chiare sono le strade, le controindicazioni, gli effetti collaterali nel medio e lungo periodo.

La tossicità e l’accumulo nell’ambiente

Sono sostanze velenose o no? Quanto? Per chi? Se mi riferisco al Report di Greenpeace 2015 (presentato qui), i pesticidi sono stati immessi nell’ambiente in modo massiccio a partire dagli anni Cinquanta; alcuni di loro, a causa dei tempi lunghi di degradazione, si sono accumulati nell’ambiente.

Nonostante gli studi rivelino «associazioni statistiche tra esposizione e aumento del rischio di sviluppare disabilità, disturbi neurologici e al sistema immunitario, alcuni tipi di cancro», l’atteggiamento di relazione biunivoca è espresso con molta prudenza. Ma non per questo è minimizzato.

Dimostrare che l’esposizione a un determinato pesticida è la causa di una malattia presenta varie difficoltà. Anzitutto perché non esistono fasce di popolazione totalmente non esposte ai pesticidi, e in secondo luogo perché la maggior parte delle malattie non è causata da un singolo fattore, ma da una molteplicità di fattori.

Inoltre, la maggioranza delle persone è esposta quotidianamente a veri e propri mix di composti chimici (non solo pesticidi) tramite diverse vie di esposizione. E i pesticidi contribuiscono ad aumentare questo carico di tossicità.

In generale siamo tutti esposti a un cocktail di pesticidi attraverso il cibo che consumiamo ogni giorno.

Nelle aree agricole, dove queste sostanze chimiche circolano nell’aria quando sono irrorate sui coltivi (il cosiddetto “effetto deriva”), i pesticidi inquinano il terreno e le acque, e in alcuni casi vengono assorbiti anche dalle piante a cui non sono destinate (organismi non-target).

In città le persone più esposte sono quelle che vivono nei dintorni delle aree verdi, ma l’uso domestico dei pesticidi può contaminare anche abitazioni e giardini.*

Paradossalmente, chi in città riesce ad abitare vicino al verde, in cerca di ossigeno e di natura, rimane poi maggiormente contaminato.

A sentire Luigi Mariotti del wwf di Bolzano, sollecitato al tema a partire da una ricerca sulla coltivazione intensiva delle mele in Alto Adige: «La tossicità per l’uomo si può manifestare in modo diretto o indiretto».**

Nel primo caso, l’assunzione o il contatto con il fitofarmaco possono provocare immediatamente fenomeni di diversa intensità, da irritazioni di vario tipo a intossicazioni acute.

La tossicità indiretta si manifesta invece dopo anni di assunzione della molecola tossica, e le possibili conseguenze sono legate al potere carcinogeno, mutageno e tetrageno dei vari prodotti chimici. Si tratta di un meccanismo di danno più subdolo, che può essere legato anche all’assunzione di residui di molecole tossiche o dei loro metaboliti presenti nel prodotto alimentare.

Sono esposti a questi danni non solo gli agricoltori, ma anche i consumatori.

Brutte cose. Ma poniamo anche che il deposito residuo superficiale dei pesticidi irrorati su frutta e verdura sia irrisorio e si possa comunque asportare con il lavaggio, come molti sostengono. Poniamo che lo stesso residuo a livello dei tessuti profondi sia minimo, perché si sono rispettati i cosiddetti “periodi di carenza”, ossia gli intervalli di tempo che devono intercorrere tra l’ultimo trattamento e la raccolta. Dove può risiedere ancora il danno?

Lo si intuisce se si seguono le mobilitazioni militanti di alcuni cittadini di comuni altoatesini (Malles in Val Venosta, Malosco in Val di Non), là dove la coltivazione intensiva delle mele rappresenta un interesse economico imprescindibile e prioritario.

Il caso di Malles

Nel settembre 2014 a Malles la soglia di guardia era così sorpassata che, grazie a un referendum di iniziativa popolare, i residenti si sono espressi al 75% contro l’utilizzo dei pesticidi tossici (al punto che oggi il comune di Malles è il primo in Europa ad aver abolito i fitofarmaci). All’indomani del risultato, l’entomologo Claudio Porrini dell’università di Bologna, sentito da Repubblica, non minimizzava affatto la gravità del problema: «I trattamenti sono diventati troppi, muoiono le api, si avvelena la gente».

Il trattamento con i pesticidi frena l’aggressione, ma apre altri problemi. I fitofarmaci vengono distribuiti con botti: ne esce uno spray che solo in minima parte va a colpire il bersaglio, il resto si diffonde nell’ambiente.

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Il rapporto 2015 di Greenpeace sui pesticidi, scaricabile da questa pagina.

Evidentemente la presenza della sostanza incriminata sul frutto o, a livello più sistemico, sulla pianta madre è ancora solo il minore dei mali. Irrorazione e nebulizzazione irradiano e si propagano ai suoli confinanti, viaggiano per aria e per acqua, ricadono su organismi animali e vegetali sani, colpiscono aree verdi e parchi pubblici, scuole, case. Intossicano fieno, latte e prodotti di raccolti limitrofi (anche biologici, che di conseguenza si contaminano).

Per non parlare di alcuni fenomeni di resistenza che ne conseguono: gli organi bersaglio, come gli insetti dannosi, si fortificano e si abituano. O di rarefazione: nella falcidie generale scompaiono alcune specie utili, naturalmente antagoniste, e si procura la moria delle api, gli insetti pronubi impollinatori per eccellenza, fondamentali per la riproduzione delle specie vegetali.

 A questo proposito, si parla già di impollinazione manuale da parte degli uomini e persino di robobee, ape robot, che alcuni in rete spacciano come notizia-bufala; peccato che se ne parli ufficialmente su un sottodominio dell’Università di Harvard, e il gruppo di ricerca è già finanziato.

Claudio Porrini non ci fa mancare una piccola stoccata, utile per riflettere:

Le colture biologiche sono il traguardo, ma bisogna arrivarci gradualmente: non è solo un problema tecnico, bisogna educare i consumatori, far apprezzare il fatto che il palato è più importante della vista, che le mele non escono dalle fabbriche e non dovrebbero essere prive di imperfezioni.

Bisogna educare i consumatori, far apprezzare il fatto che il palato è più importante della vista.

Acquirenti critici o spettatori passivi?

Cosa possiamo fare noi, consumatori, per non relegarci all’ambito di spettatori passivi? Per lo più residenti in città e dunque già alle prese con mille problemi, che ci tiranneggiano e strattonano da più parti divergenti (inquinamento, fretta e carenza di tempo, figli da sfamare ma possibilmente non intossicare, bassa capacità di spesa)? Possiamo come minimo informarci e, da lì, esercitare il nostro potere di acquirenti critici.

Ne avevamo già parlato in fondo a questo post, sempre a proposito di mele – perché da loro parte tutto, persino la Genesi, e rappresentano il simbolo della salute alimentare per eccellenza (Una mela al giorno...). Proviamoci.

Concludo dicendo che in Francia, tra le malattie professionali del comparto agricolo imputabili all’utilizzo dei pesticidi, è annoverato il morbo di Parkinson. Ho un amico che ne è affetto, ogni tanto ne parliamo. Non fa l’agricoltore.

Tossico come un pesticida. Gli effetti sulla salute delle sostanze chimiche usate in agricoltura, Greenpeace, maggio 2015. Sintesi del rapporto Pesticides and our health – a growing concern. Rapporto integrale in inglese e bibliografia completa disponibile qui.

** Luigi Mariotti, Una coltivazione di mele insostenibile. Impatto ambientale della coltivazione intensiva delle mele in Alto Adige, Bolzano, 24 aprile 2009.

Immagine di copertina: No pesticides. On a fence at a private residence. Foto © Toban Black.

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