Può mai esistere un mondo fatto di natura, cibo sano e gioco, da regalare ai nostri figli? Non dico per sempre, ma almeno per una settimana? Qui vi do l’indirizzo.
Ai Campi di Borla volevo andarci a tutti i costi, da tempo. Per tante ragioni, che si accumulavano anno dopo anno.
La prima volta li avevo notati alla fiera del Castello di Paderna, dove sono sempre presenti con i laboratori didattici e la falegnameria per bambini (no, non è una roba pericolosa; meno del cellulare, per intenderci). Lì una volta avevo incrociato lo sguardo di Donatella, che mi aveva sorriso in un modo bellissimo.
Poi, li avevo sorpresi anche nella lista di Wwoof Italia, l’associazione che consente di viaggiare lavorando presso fattorie biologiche, in cambio di vitto e alloggio (io un paio di volte l’ho fatto, voi?).
Come se non bastasse, recentemente avevo saputo che l’azienda era diventata anche produttrice di grano duro Senatore Cappelli bio, relativa farina macinata a pietra e pasta integrali (che io, pur di non comprare le pastacce commerciali, sono abituata a farmi arrivare da un produttore pugliese – dunque sì a filiera corta, ma non proprio a km zero).
Tutti questi motivi mi istigavano a scavalcare due valli, pur di arrivarci. Nella gita coinvolgo anche i fidati Milena e Fabio: passato ferragosto, scatta la tanto attesa e desiderata cena ai Campi di Borla.
Al telefono, Donatella ci aveva avvisato: «La cena è sempre molto semplice, fatta con i prodotti che coltiviamo noi. Di solito condividiamo con gli ospiti la nostra tavola, le nostre abitudini, quello che l’orto offre in quel momento».
Bene, penso io, per una volta tutta sostanza e non la solita tirannia del(lo) gnocco fritto. E poi finalmente un agriturismo vero e proprio, che interpreta alla lettera il vincolo della prevalente autoproduzione per la provenienza delle materie prime.
Piccola allusione al fatto che nella mia zona, dove il rito e la ‘fame’ di agriturismi sono molto diffusi, il concetto di autoproduzione è piuttosto estensivo e non di rado contempla anche la Metro o il Lidl.
Arriviamo e per ripararci dalla pioggia ci intrufoliamo nella casa furtivamente, dal retro – sì, siamo riusciti a beccare l’unica serata uggiosa di agosto; ma non ci ha minimamente frenato. Ci accoglie subito Donatella, che già nei primi cinque minuti tempestiamo di domande: Di dove sei? Di Milano. E allora perché di cognome fai Mondin? Mio padre è nato a Venezia, poi si è trasferito a Milano. Anzi eccolo, ve lo presento.
Ci viene incontro un omino sorridente, con occhi lucenti, pelle liscissima e un bastone di legno alla Charlot. Poco dopo arriva anche sua moglie, la mamma di Donatella, che sta dando una mano in cucina. Qualche giorno fa abbiamo festeggiato i sessantun anni di matrimonio! Hai capito?! Milena ed io ci guardiamo, sottinteso: altre tempre.
Ci accomodiamo sul divano o (io) curiosiamo in cucina, intrattenendoci in amabili chiacchiere. Ci sentiamo subito di casa.
Il tempo che Gino (Gino Chabod, artigiano valdostano del legno e compagno di Donatella, n.d.a.), deponga il trattore e rientri dall’orto tutt’altro che pianeggiante, e siamo a tavola.
Alt – stop – fermi tutti. Avanti così e rischio di raccontare la cena minuto per minuto. No, secondo me vale più la pena che ci andiate voi stessi. Anzi, non vi dico nemmeno il menu. A parte, dai, rivelarvi che i tagliolini (di grano cappelli!) erano conditi con un pesto di basilico, fatto con le loro noci e arricchito di patate e fagiolini, che si è meritato persino i complimenti del nostro Fabio, ligure doc (non so se mi spiego). Aggiungo solo che era tutto ottimo, squisitamente sincero e che il vino (scelto) è circolato in abbondanza. In sintesi: un piacere al palato senza sovrapprezzi per lo stomaco.
Consiglio. Proprio perché il servizio è concepito come un autentico e conviviale «aggiungi un posto a tavola», nel caso di pochi coperti, è sufficiente avvisarli il giorno prima o al limite la mattina stessa (come abbiamo fatto noi, di sabato).
Se invece siete un gruppo, così come tanti lì ne passano – sono davvero collaudatissimi, abituati a ricevere colonie di bambini e persino di genitori –, allora vi spetta di diritto la tavolata, magari in giardino; ma in questo caso, mi raccomando, non fate come noi e concedete a Donatella il giusto preavviso.
Dicevo: fosse stata una semplice cena, ben preparata e tutto quello che vuoi, con una buona accoglienza, in un posto speciale, con ottime materie prime ecc. ecc., sarebbe stato un evento certamente piacevole, certamente non comune, ma forse non mi prenderei tutta questa briga di parlarne. È che ci sono state alcune cose che mi hanno colpito e che secondo me valgono tutto l’oro del mondo.
La prima è che ho finalmente trovato, non solo al Nord ma addirittura nelle mie zone, chi produce grano cappelli biologico e ne ricava farina integrale e pasta. Una vera benedizione per i glutine-sensibili come me. Ma l’argomento è così ghiotto che merita addirittura un post a parte [in preparazione].
L’altra, per cui viceversa non avevo gli anticorpi e mi sono commossa nel giro di poco, è stata sentire Donatella raccontare la sua esperienza con i ragazzi, in particolare alcuni episodi delle vacanze residenziali ai Campi, dove gruppi di bambini o adolescenti si trattengono lì una settimana, lontani dalle famiglie, e si immergono in un’esperienza di gioco, condivisione e scoperta della natura, che nel giro di sei giorni li trasforma. Contribuendo non solo a costruire e a far emergere la loro personalità, ma distogliendoli anche da conflitti, insicurezze, falsi problemi e… cellulari. A questo proposito (qui si parla di ragazzi delle medie):
I cellulari vengono messi tutti in una cesta che io porto di sopra, rassicurando i ragazzi che nessuno li toccherà o danneggerà. Siamo d’accordo che la cesta ricompare solo a fine giornata, un’ora prima di cena. Dalle 7 alle 8 chiunque può tornare in possesso del proprio telefono e usarlo. In media, dopo un giorno di attività insieme, nessuno di loro è più interessato alla cesta.
E per sapere l’ora? Ci sono le campane!
Nei biglietti di condivisione che ciascuno dei ragazzi compila a fine vacanza (delle striscioline di carta gialla da macellaio, quella che si usava una volta), ce n’è una che recita: «La felicità senza videogiochi e i colori della campagna». Indovinate, a ritroso, qual era lo stimolo? Rispondere alla domanda: Che cosa vi porterete a casa di questa esperienza? Wow!
E via così di episodi e testimonianze. Genitori che riferiscono che i ragazzi, una volta tornati, aiutano in casa, insistono perché si faccia la raccolta differenziata, accompagnano le mamme a fare la spesa e le costringono a leggere per benino tutte le etichette, prediligendo i prodotti fatti con materie prime italiane. «Cosa gli avete fatto, che adesso al supermercato ci stiamo un’ora?»
«Per esempio», dice Donatella,
gli abbiamo spiegato la differenza tra un biscotto industriale, che in etichetta dichiara dieci ingredienti o più, e quelli fatti da noi in casa, con al massimo 4 ingredienti. Come? Facendoglieli fare. Si accorgono loro per primi che quelli fatti da loro sono molto più buoni e saporiti.
Se il cibo sano è gustoso e ben preparato, se questa attività è inserita in un percorso di giochi e piccole scoperte, sono gli stessi ragazzi a distinguerlo dal cibo industriale e dai prodotti spazzatura.
Si accende in loro una lampadina, che è innanzitutto un’esperienza sensoriale. E quella lascia traccia più di mille parole (posto che nei genitori ci sia una sensibilità nella scelta del cibo, che non è scontato).
Altra chicca, la lista delle regole della casa, stilate dagli stessi bambini riuniti in un piccolo consesso democratico. Leggete voi stessi i comandamenti che decidono di autoimporsi.
Oppure il rito di fine giornata, per accompagnare tutti al sonno: la lettura delle Fiabe italiane di Italo Calvino, fatta da Donatella dal corridoio comunicante con le stanze da letto. E se per caso lei stessa, stanca, si assopisce, capita sempre che qualcuno dei ragazzi la sproni a continuare: Dona! Voglio sapere come va a finire!
Se siete genitori e la cosa vi incuriosisce, vi capisco. Trovate sul sito dei Campi l’offerta completa dei laboratori (di una giornata o di un week-end) e il calendario delle settimane rurali. Poi da lì esplorate tutto il resto.
Se avete una mezz’oretta o anche meno (il video si presta anche a saltabeccare in modo del tutto anarchico), questo filmato è bellissimo, tratto dal progetto del Cibometraggio sulla consapevolezza alimentare:
Se invece avete poco più di un minuto, godetevi la testimonianza in presa diretta di Andrea, con finale a sorpresa:
Per i miei stretti amici che hanno figli, lancio invece un messaggio più diretto: non avete scuse, date ai vostri nani questa opportunità di amore, di bellezza, di educarsi e di educarvi (l’ho detto!). Scommetto che vi riconcilierete con il mestiere di fare i genitori. Qui trovate idee, esempi da praticare, supporto. E soprattutto un luogo dove potrete lasciare i vostri figli per un’intera settimana, con il solo rischio che tornino a casa entusiasti e rigenerati.
Grazie Donatella (ormai definitivamente Dona anche per noi!), grazie Gino (voglio anch’io fare le ciotole al tornio e i cesti di rami di salice con le mie mani!), grazie nonni che discretamente date una mano con un grande esempio di operosità vitale e sorridente.
Grazie per tutto quello che fate, che ha a cuore i ragazzi ma ricade sugli adulti, di oggi e di domani.