Il ddl 998 sull’agricoltura biologica: una proposta di legge e di speranza

Nuova legge sul bio

Forse non tutti sanno che è attualmente in approvazione al Senato un’importante proposta di legge sul biologico in Italia, il ddl 998. Il titolo è incoraggiante: Disposizioni per lo sviluppo e la competitività della produzione agricola e agroalimentare con metodo biologico.

Il progetto di legge – o, come si dice, l’articolato – è stato discusso e approvato alla Camera dopo un iter in commissione piuttosto lungo, iniziato addirittura durante la legislatura precedente, nel 2013, poi sospeso per dare precedenza a una riforma europea (che però non è ancora arrivata) e infine ripreso.

Mi sono ascoltata e letta un po’ di interventi in aula durante la discussione alla Camera e ho notato che il disegno è stato portato avanti, con perseveranza e intelligenza, da forze politiche anche molto distanti tra loro.

Il ruolo dell’agricoltura biologica

Pur con tutti i limiti, credo che questa proposta rappresenti un passo in avanti per il comparto dell’agricoltura biologica, che esce dalla sua posizione di nicchia per assumere ufficialmente il ruolo di traino ecologico-economico.

Finalmente salute e sicurezza alimentare vengono indicati nero su bianco come obiettivi politici, quantomeno sulla carta.

(Belle) Spigolature dall’iter parlamentare

Nella discussione in aula si è parlato di «sistema agricolo ad alto valore naturale [AVN]», di antitesi agli «xenobiotici» (pesticidi, metalli pesanti, diossine), della necessità di preservare e ricostituire il cosiddetto patrimonio ecosistemico ovvero l’insieme dei beni che tendiamo a dare per scontati perché disponibili gratuitamente, finché ci sono, e che invece sono a grosso rischio (suolo e acqua, per esempio: le cosiddette «matrici naturali»).

Finalmente si è parlato anche di «alimenti funzionali», ricchi di «principi bioattivi, in qualità diversa dalle produzioni convenzionali», di «paniere salutare della dieta mediterranea» e di quella sana e opportuna alimentazione che «diminuisce i fattori infiammatori, riduce i marker di stress ossidativo e di rischio cardiovascolare» e previene le patologie cronico-degenerative.

Si è persino arrivati ad auspicare la possibilità di «acquistare a prezzi congrui alimenti sani, la cui realizzazione tutela salute e ambiente».

Chi mi segue sa che il tema del prezzo equo è per me occasione di riflessione continua, insieme agli stessi produttori: Quanto costa un chilo di lavoro contadino?

Dai numeri ai valori

Che il settore del bio sia in forte crescita – in termini di operatori, aree coltivate, fatturato – è nella percezione di tutti e viene ribadito da più parti con abbondanza di dati (leggi l’ultimo report Ismea-Nielsen sul bio-boom).

Quello che forse è meno chiaro è la capacità di discernere – in sede legislativa, ma anche da parte degli stessi consumatori – tra il bio di scala industriale e quello della piccola agricoltura locale e familiare, che certamente muove numeri inferiori e risulta meno visibile, ma rappresenta a mio parere il tessuto più importante (e viceversa più sofferente).

Altra cosa che invoco come inversione di rotta è che venga ribaltato il criterio per cui a dover pagare sia chi si certifica, anziché chi inquina – che di fatto ne trasferisce i costi e i danni sulla collettività.

Detto questo la legge, se verrà approvata, contiene svariati elementi positivi, inseriti nell’auspicabile finalità ultima di «abitare il mondo senza distruggerlo e senza distruggerci» (dalla parole di Massimo Fiorio, PD, primo firmatario del provvedimento).

Una bella sintesi su Radio Popolare

Il migliore riscontro sul provvedimento che mi è capitato di ascoltare – segnalatomi da un amico, che ringrazio – è stato offerto da Radio Popolare in C’è di buono, la trasmissione condotta da Niccolò Vecchia sui temi del cibo e della cultura gastronomica («una cultura che può essere, insieme, popolare e raffinata»).

agricoltura-slow-9788884994608
Agricoltura slow: il volume sull’agroecologia scritto a quattro mani da Cristiana Peano e Francesco Sottile, «per produttori e tecnici del settore, ma anche per curiosi che vogliamo intraprendere la sempre più popolare via dell’autoproduzione» (dalla quarta di copertina).

Nella puntata di mercoledì 14 giugno sono stati trasmessi spezzoni delle interviste realizzate a due importanti interlocutori del mondo del biologico, appartenenti rispettivamente al mondo universitario e imprenditoriale:

  • Cristiana Peano, docente di alla facoltà di Scienze agrarie di Torino e coordinatrice dell’annesso master in Sostenibilità socio-ambientale delle reti agroalimentari, autrice con Francesco Sottile di Agricoltura Slow, Slow Food Editore 2017;
  • Lucio Cavazzoni, presidente di Alce Nero, dal 1978 marchio pioniere del biologico in Italia.

Prima di rimandarvi al podcast della puntata o in alternativa al video integrale dell’incontro dal vivo, realizzato in occasione dell‘evento-festa annuale di Radio Popolare ‘All you need is Pop’, voglio a mia volta evidenziare alcuni stralci importanti, seminandoli nella rete a beneficio di chi non abbia tempo di ascoltare le interviste (che comunque trovate incorporate sotto).

Aspetti significativi del progetto di legge

Da entrambi gli ospiti la legge viene definita «importantissima, intelligente» e ritenuta un progresso importante, soprattutto in quanto pone «attenzione all’agricoltore di piccola dimensione, ai territori, alle sementi, alla formazione».

Innanzitutto si evidenzia come nel provvedimento l’agricoltura biologica venga finalmente definita «attività di interesse nazionale con funzione sociale» capace di garantire «la sicurezza alimentare, il benessere animale e la tutela dell’ambiente e della biodiversità». Tra gli elementi positivi, vengono rilevati in particolare:

  • il riconoscimento e la disciplina dei biodistretti, cioè di quelle aree in cui l’agricoltura convive con altre attività economiche rispettose dell’ambiente, apparentemente non collegate ma fortemente connesse: si pensi al turismo, ai servizi, alle infrastrutture, alle iniziative culturali che possono creare sinergie importanti per valorizzare un territorio;
  • l’introduzione dei contratti di rete tra imprese della filiera biologica, come forme di cooperazione più snelle rispetto ad altre forme associative;
  • la circolazione delle sementi, per garantire la preservazione e circolazione della biodiversità, a fronte del fatto che «negli ultimi trent’anni i semi sono diminuiti del 95%» e vengono detenuti (!) da 3 o 4 multinazionali mondiali;
  • l’introduzione di una formazione specifica sul biologico, che attualmente le istituzioni non contemplano, anzi: oggi, per esercitare l’attività di agricoltore bisogna conseguire un patentino dove «non solo non è prevista alcuna educazione al biologico, ma è richiesto di dimostrare di sapere usare il glifosato» (uno dei pesticidi più nocivi, ndr).

«L’agricoltura è di tutti»

Pesco volentieri a piene mani alcune frasi significative dagli interventi di Lucio Cavazzoni, un personaggio che conoscevo solo di fama, come imprenditore pioniere e illuminato. Mi ha davvero colpito: si capisce che sa di cosa parla e che se ne è sporcato umilmente le mani. Tutti gli spezzoni che seguono sono stralci dal suo discorso, a più riprese.

La grande differenza fra l’agricoltura biologica e le altre agricolture è che queste hanno per obiettivo la produzione di una merce e sono paragonabili a qualsiasi tipo di business, mentre il biologico ha come obiettivo il prodotto ma anche, sullo stesso piano, la preservazione dell’ambiente e la biodiversità.

Nonostante l’attenzione al biologico sia cresciuta in tutto il mondo, così come è cresciuta l’attenzione alla qualità del cibo che mettiamo nel nostro corpo ed è cresciuta l’attenzione all’ambiente – ovunque, nei paesi ricchi e paesi poveri –, è anche cresciuta l’aggressività dei grandi gruppi. Questo perché il biologico oggi non è più una piccola nicchia che non disturba il manovratore, ma è qualcosa che mette in discussione il sistema dominante. Dunque subiamo attacchi a tutti i livelli.

A proposito dei biodistretti:

Il produttore biologico, da solo, oggi non ha più senso. L’agricoltore biologico importa nella misura in cui riesce e contaminare il suo territorio.

L’agricoltura biologica può essere motore di un cambiamento territoriale verso progetti, programmi e progressi di sostenibilità, che riguardano non soltanto l‘agricoltura e il cibo, ma anche ciò che non appare direttamente collegato all’agricoltura e all’ambiente: trasporti, cultura, servizi. Tutto può essere collegato, perché fa parte della tua vita.

Negli Stati Uniti e in Europa, dove i livelli di inquinamento ambientale sono pesanti, non possiamo più pensare di fare il biologico come un piccolo puntino nella pianura padana e intorno tutto il resto che rimane inalterato.

E fa riferimento, a mo’ di esempio, al problema / diritto di avere a disposizione acque pulite (e non ricche di atrazina!) per tutte le risaie lombarde.

Oggi è molto chiaro che agricoltura e ambiente sono la stessa cosa. L’agricoltura non appartiene agli agricoltori, appartiene a tutti. Se uno fa del bene o del male alla terra, all’acqua e all’aria, favorisce o danneggia tutti.

«Non dimentichiamoci che privato ha lo stesso etimo di privare». Mentre «Il vero produttore bio è un diffusore di biodiversità».

A proposito di frodi nel biologico?

Il biologico falso andrebbe punito 2 volte, perché tradisce un inno alla vita.

Podcast e intervista integrale

Di seguito il podcast della trasmissione, che riporta alcuni stralci delle due interviste (che si esauriscono nei primi 39 minuti):


E infine il video integrale dell’incontro (in tutto un’oretta circa): denso, ricco, illuminante. Ascoltatelo mentre cucinate e guadagnate speranza e fiducia nel genere umano.


Aggiornamento Post scriptum: A distanza di 2 anni e oltre, il ddl non è ancora stato approvato: Agricoltura biologica e sostenibilità: ancora polemiche intorno al ddl 998.

Immagine di copertina: Campo di grano biologico ad Offagna, AN. © Michele Petraccini.

Lascia un commento