Cari umani vi scrivo. Lettera dal pianeta Terra

Foto © Edward Burtynsky, courtesy Admira Photography, Milan /  Nicholas Metivier Gallery, Toronto.

Riporto la lettera che mi è stata recapitata qualche mese fa grazie a un libro, che svelo sotto.

Cari umani, non l’ho mai fatto prima, ma quest’anno ho deciso di scrivervi. Per voi inizia un nuovo anno, per me non ha importanza, di questi capodanni ne ho già visti quattro miliardi e mezzo.

Duecentomila anni fa siete comparsi voi, autonominati Homo sapiens, ora siete diventati tantissimi, formicolate in sette miliardi e mezzo sulla mia pelle, mi pungete con trivelle per succhiarmi olio che io avevo sigillato in innocue vesciche, scavate gallerie per estrarmi preziosi elementi che poi buttate come rifiuti disperdendoli per sempre e avvelenandovi da soli, abbattete le foreste che mi coprono di una verde peluria, esaurite i pesci degli oceani e sterminate le creature della mia biosfera che ci ha messo tre miliardi di anni per evolversi; asfaltate, cementate, bruciate, fumate, inquinate qualsiasi cosa passi per le vostre mani, e da un secolo a questa parte sembra non abbiate più alcun rispetto per me, mi succhiate ogni forza e mi intossicate con i vostri gas, cambiate il clima, mi fate venir la febbre che fonde i ghiacci e aumenta il livello dei mari, mi riempite di plastica, una roba che avete inventato voi, senza curarvi di riciclarla come ogni cosa che faccio io. Mai nessuna specie aveva osato tanto e danneggiato così gravemente i miei processi vitali.

Serre agricole a El Ejido, in Andalusia. Foto © Edward Burtynsky.

Avete cosparso pure la mia orbita con un sacco di ferraglia e Marte mi ha detto preoccupato che avete mandato oggetti anche sulla sua superficie. Ora state esagerando, e alcuni di voi l’hanno capito: avete battezzato Antropocene quest’epoca geologica per via della vostra invasività, ho visto che quindicimila scienziati hanno firmato l’ennesimo appello che ben interpreta la mia sofferenza, avete capito benissimo quali siano i limiti fisici da non superare per non farmi collassare (Johan Rockström dell’Università di Stoccolma li ha pubblicati su riviste scientifiche che però rimangono nei cassetti), avete convocato conferenze per rispettare clima e ambiente, ma nei fatti non siete sulla strada giusta, continuate a inseguire la crescita economica infinita, sapendo che io non sono affatto infinita!

Le vostre televisioni ridono e scherzano mentre io soffoco e vomito: attenti, che un mio scrollone vi spazza via come fuscelli! Ricordatevi che io non ho bisogno di voi, ma voi avete bisogno di me. Un vostro scrittore, François Mauriac, che avete premiato con il Nobel, ha detto: «È inutile per l’uomo conquistare la Luna, se poi finisce per perdere la Terra».

Pensateci! Io che vedo più in là di voi, vi assicuro che per molti anni luce qui attorno non c’è posto migliore per vivere, cercate di conservarlo e di passare ancora qualche centinaio di migliaia d’anni insieme a me. Ogni tanto infatti, quando non vi ammazzate o fate rumore con le vostre macchine, siete anche capaci di belle cose: ascolto con gioia la vostra musica, una novità dopo milioni di anni nei quali avevo udito solo il canto degli uccelli, osservo stupende interpretazioni della mia natura e delle mie stagioni – prima che cambiaste voi il clima – come la Primavera di un certo Botticelli, mi piace quando usate la mia pietra per costruire torri, teatri, templi, e ci sono storie che ascolto volentieri, composte con un metodo tutto vostro, unico a quanto ne so in buona parte di questa galassia, la poesia: mentre giro attorno al sole sorrido leggendo un tal Dante che parla del nostro gran dispensatore di energia come un carro che sbanda su una «strada che mal non seppe carreggiar Fetòn»*.

Ecco, queste cose di voi mi divertono, e poi siete bravi a scoprire le leggi fisiche che mi fanno funzionare, a costruire apparecchi per comunicare lontano e far calcoli complessi, curare la vostra salute, generare energia con il sole senza affumicarmi. Ma accidenti, usatela bene questa conoscenza! È il vostro jolly: o saprete sbarazzarvi della stupidità, dell’arroganza, dell’indifferenza verso di me, e con un grande scatto evolutivo culturale farete della vostra civiltà un membro sostenibile del mio ambiente, oppure – l’ha scoperto uno di voi che si chiamava Darwin – l’evoluzione vi eliminerà perché non adatti, e io guarirò presto dalle vostre ferite. Però mi dispiacerebbe che dopo cosí tanta fatica per avervi fatto emergere falliste così miseramente.

Vostra madre Terra.

Lettera pubblicata in Luca Mercalli, Non c’è più tempo. Come reagire agli allarmi ambientali, Einaudi 2018. Tutti i diritti riservati.

Foto di copertina: Deforestazione in Borneo, Malesia, per la coltivazione di palma da olio. Questa e tutte le altre immagini nella pagina fanno parte del progetto Antropocene del fotografo canadese Edward Burtynski: un reportage spettacolare e scioccante, che documenta l’impronta umana sulla terra, maestosa e indelebile. Il lavoro, profondamente rivelatorio e artistico nello stesso tempo, si è tradotto in un libro e un film, usciti anche in Italia, e in una mostra multimediale. Copyright per tutte le foto: © Edward Burtynsky, courtesy Admira Photography, Milan /  Nicholas Metivier Gallery, Toronto.

* In Purgatorio IV 72, Dante descrive il Sole come un carro, che il giovane Fetonte, figlio di Apollo (dio del Sole), non seppe ben guidare e da cui infatti precipitò.

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