Parliamo di agricoltura “artigianale”, quella che piace tanto e va tanto di moda, quella dei farmers’ market e dei prodotti biologici, dei piccoli produttori e del «come una volta». Insomma, quella che piace tanto fino a quando… non si parla di prezzi.
Doveroso, a questo punto, un breve esercizio cognitivo d’introduzione. Proviamo a pensare al mondo come a un grande biscotto: un biscotto per metà fatto di produzione industriale e per l’altra metà di produzione “artigianale”. Questa prima distinzione è molto utile, la riprenderò sotto.
Che cos’è l’artigianato?
Forse sarebbe anche il caso di dare una sommaria definizione di artigianato, che comprende quel genere di attività del “fatto a mano”, che negli ultimi decenni sono per buona parte state soppiantate dalla cultura industriale e dalla conseguente meccanizzazione e automazione. Potremmo anche procedere per esclusione e definirlo così:
artigianato è tutto ciò che non viene prodotto in serie e a macchina.
Solitamente ci si riferisce agli oggetti, utili o decorativi: dagli utensili da cucina all’abbigliamento, dagli strumenti di lavoro all’arredamento; ma a me piace includere anche i beni alimentari, con il come lo fai che resta sempre la discriminante fondamentale.
Artigianato alimentare
Provo a stilare le linee guida per una produzione artigianale legata al cibo:
- produzioni su piccola scala
- gran parte delle lavorazioni fatte a mano
- rigetto delle logiche di produzione intensiva
- ricerca di un’identità ben definita per i propri prodotti
- distribuzione attraverso reti prevalentemente locali.
Qualità, prezzo e altri parametri
Oggi il dinamico mercato del food propone un’offerta vastissima, estremamente diversificata e in continua evoluzione.
Gli elementi attraverso cui il consumatore arriva a compiere una scelta sono a loro volta sempre più numerosi e caratterizzati da maggiore complessità, ma almeno due restano solidi pilastri: qualità e prezzo. Al contrario di ciò che comunemente si può pensare, né l’uno né l’altro sono di facile determinazione.
La qualità è un parametro tutt’altro che assoluto.
C’è chi la associa alla freschezza, chi alla prossimità geografica di prodotto o produttore, chi a determinate caratteristiche organolettiche, chi semplicemente si fida di un marchio. Altri ancora magari ricercano proprio quel carattere artigianale di cui stiamo parlando.
“Qualità” può avere insomma svariati significati, al di là di una definizione più o meno universale.
E poi c’è il prezzo. Il prezzo, solitamente, «lo fa il mercato». Una prima distinzione allora viene spontanea: possiamo mettere tutto nello stesso calderone, quando vogliamo fare dei confronti? Ricordate il biscotto di prima: quelle due metà vanno considerate due mercati differenti. Non un unico mercato globale, ma due universi ben distinti.
Riconoscere un prodotto davvero artigianale non è semplice.
Un prodotto industriale non può essere equiparato a un prodotto artigianale dello stesso tipo. E qui possono saltar fuori le prime difficoltà: riconoscere un prodotto davvero artigianale non è semplice, soprattutto all’interno del caotico scenario di oggi, in cui si assiste a strategie di marketing che coincidono con un sostanziale passo indietro dell’industria, alla ricerca di un certo grado di artigianalità per molti dei suoi prodotti (almeno a livello d’immagine), ma anche a tentativi di vero e proprio “camuffamento”, fortunatamente il più delle volte troppo goffi per sfiorare la credibilità, dove prodotti tutt’altro che artigianali vengono spacciati come tali semplicemente cercando di usare gli stessi canali di vendita diretta (mercatini, fiere ecc.).
Ma andiamo al sodo: quanto e perché dovremmo essere disposti a pagare di più un prodotto veramente artigianale? Talvolta potrebbe anche trattarsi di una questione di maggior qualità. Ma come anticipato qualche riga più su, la qualità è di per sé un concetto estremamente variabile, dunque lascerei al palato e allo stomaco del singolo l’ardua sentenza.
C’è un risvolto “sociale” che trovo invece giusto prendere in considerazione e interessante da analizzare: acquistando dal produttore acquistiamo da una persona fisica, ancor prima che da un’attività economica. Finanziamo una famiglia, un sogno, un investimento misurato. Mettiamo in moto un processo inarrestabile di supporto vicendevole, una microeconomia virtuosa, che è il vero e proprio valore aggiunto. Ciò per cui paghiamo ancor prima di acquistare. Diamo vita a una piccola economia sociale, reale, locale.
Al contrario, la “vera faccia” della grande azienda, della corporation, non la conosce nessuno. I consumatori più attenti e consapevoli possono arrivare al massimo a confrontarsi con un’etichetta o un codice a barre. Non sto giudicando, non sto dicendo cosa è meglio e cosa è peggio, cosa è giusto e cosa non lo è, sto solo dicendo che è senz’altro diverso. E che tutti possiamo sempre scegliere.
Se scegliamo di entrare nella rete locale, dobbiamo essere pronti a pagare di più.
Nient’altro che il risultato di alcune dinamiche di economie di scala. L’intero processo produttivo è differente, per le due metà del biscotto. I passaggi di produzione, trasformazione e commercializzazione seguono regole differenti.
L’industria può permettersi di vendere sottocosto, la piccola azienda artigianale no.
Come differenti sono i costi per l’impresa, che nella produzione industriale vengono sostanzialmente abbattuti (mentre nel frattempo, per forza di cose, si rinuncia a qualcosa). A tutto ciò va aggiunto che spesso l’industria può permettersi di vendere addirittura sottocosto e che l’impatto di queste operazioni promozionali sul consumatore è davvero forte.
Un consiglio spassionato che mi sento di dare è il seguente: se è vero, come è vero, che è sempre utile guardare le cose da un’angolazione differente, in questo caso è addirittura utile guadagnarsi una visuale diametralmente opposta: piuttosto che chiederci come mai quel prodotto costa di più, possiamo chiederci come mai quell’altro costa di meno – o così tanto di meno.
Ne consegue che un prodotto artigianale – per come lo abbiamo inteso fino ad ora e fatte le dovute premesse relative alla comune idea di qualità – non potrà mai essere competitivo, se immesso su un mercato dominato dai prodotti industriali. A meno che non venga considerato al massimo della sua espressione socioeconomica, che va ben al di là del semplice valore dichiarato. Il reale valore aggiunto è infatti la conseguenza di una scelta etica.
L’artigiano, il produttore, la piccola azienda possono diventare i soggetti attivi di un radicale ripensamento della società, ma lo possono fare soltanto con il supporto dei fruitori di questi beni e servizi che, cambiando abitudini e mentalità, a loro volta chiudono il cerchio.
Foto di copertina: Antica stadèra di ferro, appesa allo spaccio dell’az. agr. La Barberina di Calceranica al Lago (TN). Foto della bio-contadina proprietaria Martina Campregher.