Mi chiamo Giulia, ho 26 anni e da poco più di uno cerco di entrare il meno possibile nei supermercati.
Dalla cosmesi eco-bio ai vestiti, fino al cibo
L’evoluzione nel mio stile di consumo è iniziata nel 2014 dai cosmetici e gradualmente si è estesa alle altre categorie merceologiche, in particolare all’abbigliamento e all’alimentazione. Questo significa che quando compro presto sempre attenzione all’impatto ambientale e sociale dei miei acquisti e scelgo con cura i sistemi e le realtà che per me ha senso sostenere.
Una precisazione, prima di iniziare: vivo ancora con i miei genitori, che seguono tutt’altra alimentazione e fanno altre scelte. La mia impressione è che la spesa fatta in questo modo non sia particolarmente costosa, ma mi riservo di fare considerazioni più circostanziate quando sarò indipendente. Ho l’impressione che chi sostiene che per mangiare sano si debba spendere molto tenda a fare il confronto con quello che spenderebbe facendo gli stessi acquisti in un supermercato biologico: in quel caso è vero, la differenza è notevole. Ma la mia è una spesa molto diversa, in realtà.
La spesa ‘altra’ che mi fa stare meglio
Innanzitutto è completamente vegetale; poi è il più possibile sfusa, stagionale e locale (direi proprio in quest’ordine). Inoltre privilegio prodotti biologici, o comunque non trattati chimicamente, che non incorporino lo sfruttamento dei lavoratori e riconoscano un equo compenso ai produttori.
Molte persone potrebbero pensare che mi piaccia complicarmi la vita: è molto più comodo entrare nel primo supermercato e mettere nel carrello tutto quello che serve (e molto di più) senza pensare alla storia di quei prodotti e a dove finirà il loro imballaggio, dopo che sarà stato buttato “via”.
Non smetterò mai di credere che comprare equivalga a votare.
Ma non smetterò mai di credere che comprare equivalga a votare e che ogni nostro acquisto sia un assenso al modo in cui vogliamo che funzioni il mondo di domani, quindi mi complico volentieri la vita. Perché è vero, per una spesa più informata e ragionata bisogna sempre ricercare una soluzione altra rispetto a quella di default, quindi, soprattutto nella fase iniziale, si può fare un po’ di fatica. Ma una volta passati a un altro modo di fare la spesa, più attento all’impatto sociale e ambientale delle proprie scelte, secondo me è difficile tornare indietro.
Per quanto mi riguarda sono tempo ed energie mentali investiti benissimo: da un lato, come consumatrice, mi permettono di lanciare segnali alla filiera produttiva, dall’altro contribuiscono in misura determinante al mio benessere fisico e mentale. Quindi in realtà la spesa “comoda” al supermercato ha perso ai miei occhi ogni attrattiva: dedicare parte del mio tempo libero a una spesa più giusta è per me una priorità, perché fa stare meglio sia me che il mondo in cui vivo.
La scelta tra diverse variabili: il trade-off
Compro essenzialmente in piccoli negozi, di solito biologici, o direttamente dai produttori. Qualche volta mi capita di andare da NaturaSì, ma solo per pochi acquisti specifici.
Ad esempio, lì compro la quinoa, perché hanno quella italiana e non mi va di comprare quella che arriva dal Sud America. Vero, è confezionata nella plastica, che cerco di evitare il più possibile, e mi piacerebbe di più acquistarla in un piccolo negozio, se lì la trovassi.
Però spesso, quando si fa una spesa più consapevole, ci si trova di fronte a dei trade-off: situazioni in cui bisogna scegliere tra due o più possibilità e al guadagno dell’una corrisponde la perdita dell’altra.
Nei miei sogni posso andare a procurarmi tutto il cibo che mi serve in bicicletta, mentre faccio attività fisica e mi prendo cura della mia salute mentale senza contribuire all’emissione di inquinanti e al riscaldamento globale. La realtà, però, è ben diversa: i prodotti sfusi sono ancora difficilmente reperibili e non sempre la filiera produttiva offre grandi garanzie di trasparenza. Quindi devo scendere a patti con la realtà. Non posso fare la mia spesa ideale ma posso comunque fare qualcosa.
Ho dei produttori di frutta e verdura coltivate naturalmente e un negozio equo e solidale a circa un quarto d’ora di bici da casa, ma per raggiungere gli altri posti in cui faccio acquisti uso sempre l’auto. Potrei arrivare in stazione in bicicletta (sarei lì in una ventina di minuti) e poi prendere il treno, ma ad ora non la trovo la soluzione ideale: ho paura che risulterebbe troppo scomodo. Spero di riuscire a fare un tentativo in futuro, e nel frattempo quando uso l’auto ottimizzo tempi e spostamenti per concentrare tutti gli acquisti nell’arco di qualche ora.
Ingredienti di base e sfusi, con qualche compromesso
Trovo che porsi il problema sia molto più utile che inseguire la perfezione.
Quasi tutto quello che compro è un ingrediente di base, cioè cibo che è stato lavorato il meno possibile: cereali integrali, legumi, verdura, frutta fresca e secca, semi oleosi.
Frutta e verdura le acquisto sfuse dai miei produttori di fiducia o più raramente nei negozi che frequento. Per tutto il resto, suddivido gli acquisti nei cinque negozi in cui compro più spesso in base a dove trovo cosa. Due di questi hanno una piccola sezione sfusa per cereali, legumi, frutta secca e semi oleosi, ma la scelta è limitata e spesso devo integrare gli acquisti con prodotti confezionati.
Nello scegliere cosa acquistare cerco di tenere in considerazione i vari aspetti che rendono un prodotto più o meno sostenibile:
- la modalità e il luogo di coltivazione
- il trattamento riservato ai lavoratori
- le caratteristiche dell’azienda produttrice
- l’imballaggio (carta, alluminio e vetro vengono riciclati molto più facilmente rispetto alle materie plastiche).
Spesso devo scendere a compromessi, e cerco di non viverli come una sconfitta: trovo che porsi il problema e fare scelte consapevoli sia molto più utile che inseguire la perfezione.
Stagionalità, intuito e creatività
Mi piace essermi liberata da quell’attitudine mentale per cui pretendiamo che tutto sia sempre disponibile.
Raramente ho una lista della spesa vincolante, anche perché facendo questo tipo di spesa non sempre trovo quello che cerco. Magari vado in un negozio sperando che abbiano ancora i semi di girasole sfusi che ho comprato il mese precedente e invece hanno quelli di zucca. Per me non è un problema, perché raramente seguo ricette, quindi non ho quasi mai la necessità di acquistare qualcosa di specifico: il più delle volte i miei pasti sono piatti misti vegetali realizzati cucinando e assemblando singoli ingredienti, che scelgo in modo intuitivo tra quelli che ho in casa.
Mi piace essermi liberata da quell’attitudine mentale per cui pretendiamo che tutto sia sempre disponibile, ma potrebbe non essere così per tutti.
Tre azioni da mettere in atto
Secondo me questo tipo di spesa richiede che vengano messe in atto tre azioni interconnesse.
- La prima è osservare: osservare le città con occhi diversi, fare attenzione a quei piccoli negozi che ci fa tanto piacere vedere ma che, se non sosteniamo con i nostri acquisti, scompariranno sempre più. Spesso, tra l’altro, proprio queste piccole botteghe riservano occasioni di spesa sfusa.
Per fare acquisti più leggeri è importante anche osservare come sono organizzati i negozi che già frequentiamo: ad esempio, un giorno mi sono accorta che in uno dei miei negozi biologici preferiti vendono i datteri confezionati in sacchetti di plastica sigillati con un’etichetta del negozio, perché li porzionano loro. Allora sono passata alla seconda azione: - chiedere. Di solito i proprietari delle piccole attività vengono incontro volentieri alla richiesta, seppur inusuale, di mettere del cibo in contenitori diversi dai monouso. Io con la gentilezza, un bel sorriso e un “grazie” sincero ho sempre ottenuto quello che desideravo. Però bisogna avere un contenitore alternativo in cui mettere quello che si compra, ed ecco la terza azione:
- organizzarsi. Quando vado a fare la spesa ho sempre con me diverse borsine di tela, alcuni sacchetti di carta che riutilizzo il più possibile (l’obiettivo è sostituirli completamente con quelli di stoffa) e qualche barattolo di vetro o contenitore di plastica.
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Prima di cambiare il modo in cui facciamo la spesa dobbiamo cambiare il modo di pensarla.
L’episodio dei datteri mi piace perché lo trovo emblematico di una nuova attitudine agli acquisti: non sto ad autoflagellarmi perché il tempeh lo trovo solo confezionato nella plastica e questo tipo di autoproduzione non fa (ancora?) per me, ma se posso evitare la confezione dei datteri, perché non farlo? Quando voglio comprarli, so che lì li trovo sfusi e mi basta ricordarmi di portare un barattolo.
Le opportunità di cambiare ogni giorno il modo in cui facciamo la spesa sono tutt’intorno a noi: basta coglierle, o crearle.
Tutte le foto di questa pagina sono mie :-)