Questo post nasce dalla scoperta di un caffè biologico ed equosolidale, che ho provato e mi è strapiaciuto – sia al palato, sia per le scelte che ci stanno dietro. Per poterne capire di più, sono risalita alla torrefazione artigianale che lo produce. Perché, diciamocelo, di caffè ne beviamo tanto, ma sappiamo poco o nulla.
Il caffè questo sconosciuto
Se ci dovessero chiedere cos’è il caffè, probabilmente risponderemmo che è un chicco (cioè un seme) che proviene da piantagioni coltivate in Sudamerica, e ci fermeremmo lì.
Eppure, uno dei prodotti di maggior consumo in Italia e contemporaneamente di maggior esportazione (complice la domanda internazionale di caffè espresso torrefatto all’italiana), risulta abbastanza sconosciuto a chiunque non faccia parte del settore.
Un prodotto a filiera lunga
Cominciamo dall’inizio. La filiera del caffè è una delle più lunghe di tutto l’agroalimentare, sia dal punto di vista geografico, sia dal punto di vista delle lavorazioni e dei passaggi logistici: tra la piantagione di caffè verde (crudo) e il bevitore intercorrono davvero tante mani e tanti km.
Le torrefazioni, di cui c’è una buona tradizione in Italia, non sono che il penultimo passaggio, dedicato alla tostatura, e vengono a loro volta prima di bar, caffetterie e altri rivenditori (dai supermercati ai distributori automatici). E prima, cosa succede?
Il caffè nasce da una pianta sempreverde detta ‘Coffea’, che cresce bene nelle zone equatoriali (non solo Sudamerica dunque, ma anche Africa e India). È una pianta che produce delle bacche che a maturazione si presentano rosse, molto simili a ciliegie.
La fioritura è una fase fondamentale: inizia con il periodo delle piogge e precede la fruttificazione. Quando le bacche poi sono mature vengono raccolte. A differenza che nelle ciliegie classiche, qui si butta la polpa e si tiene il seme, che è composto da 2 chicchi. Per spolpare le bacche ed estrarre i chicchi ci sono due metodi:
- Metodo lavato, usato nella maggioranza dei casi: è un sistema di estrazione meccanica, che poi si avvale di vasche di fermentazione; terminata la fermentazione, si procede all’asciugatura. In questo caso l’acidità è più elevata, emergono i sentori floreali, ma è inferiore la sciropposità (che non è altro che la capacità di produrre crema).
- Metodo naturale, essiccato e decorticato: in questo caso la bacca resta intera e sono direttamente il sole o la temperatura di serra a indurre la fermentazione; poi ci pensa una macchina decorticatrice a estrarre i chicchi. È un metodo che era stato abbandonato e oggi si sta recuperando, sia perché il mercato lo chiede, sia perché si sta sperimentando tanto: qui infatti si ottiene un maggiore sviluppo aromatico e di zuccheri.
A questo punto si inserisce l’azienda torrefattrice che seleziona il caffè crudo, che poi lavorerà e commercerà in purezza (nel caso del monorigine proveniente da un solo paese) o per ottenere delle miscele.
Il suo interlocutore è un trader, ovvero un importatore che ha il contatto diretto con la piantagione e la necessaria struttura logistica di stoccaggio.

Nel caffè, dunque, la filiera corta non esiste.
Ed è anche ovvio che la facciano da padrone le piantagioni intensive, dotate di abbondante manodopera (che lavora a condizioni che non conosciamo) e magari di tutta l’attrezzatura necessaria per l’estrazione, e che viceversa sia molto difficile risalire a piccoli coltivatori, che sono al massimo dei conferitori a inizio ciclo, cioè in una fase in cui il potere negoziale è minimo.
E dunque, come se ne esce?
La filiera del caffè biologica e fairtrade
Esiste una filiera virtuosa, che è quella del caffè che è insieme biologico ed equosolidale.
Quando poi il prodotto di queste scelte militanti è anche buono, si crea una triangolazione rarissima.
Natura Equa
La mia folgorazione è avvenuta con Natura Equa di Caffè Agust, grazie a un pacchettino che mi ha dato la mitica Irene di Carpegna, un giorno che sono passata nel suo spaccio alla Cascina Santa Brera di San Giuliano Milanese.
Questo caffè è un 100% arabica proveniente da cooperative di piccole coltivazioni biologiche che lavorano in condizioni equo solidali.
Ha ben 3 certificazioni, che è difficilissimo trovare compresenti:
- Biologica (ente CCPB), a garanzia di un processo di produzione interamente bio, da capo a fine, cioè dalla coltivazione alla torrefazione, inclusi tutti i passaggi intermedi, che abbiamo visto essere tanti.
- Fairtrade®, a garanzia di condizioni commerciali e di lavoro più eque e sostenibili.
- incarti e produzione a Impatto Zero®*, per cui la CO2 emessa nel ciclo produttivo viene compensata con riforestazioni, in questo caso nel parco del Ticino. È la certificazione di Lifegate.
Oltre a essere buono e dall’aroma tendente al dolce, Natura Equa anche molto leggero nello stomaco, forse perché – mi hanno spiegato – è a bassa acidità e a basso tenore di caffeina.
La torrefazione: Caffè Agust

Al ché ho voluto indagare meglio e sono risalita alla torrefazione di Brescia che firma il prodotto: Caffè Agust.
Nata nel ’56 come piccolo laboratorio artigianale di Augusto Corsini (da cui il nome) e Mariarosa, novelli sposi, nel corso degli anni la Agust si è ampliata, strutturata e innovata, senza mai perdere la sua connotazione familiare e artigianale.
Con l’avvento negli anni Ottanta di Marco Corsini, figlio di Augusto, si è aggiunto il tratto distintivo della sensibilità ecologico-ambientale, che caratterizza tutti i processi.
Ho fatto qualche domanda a Giovanni (in foto a lato), uno dei rappresentanti della terza generazione in azienda.
La nostra ricerca si è sempre distinta per il desiderio di coniugare scelte etiche e di sostenibilità con la bontà del prodotto. Mio padre Marco è sempre stato sensibile all’impatto ambientale, è una sua propensione personale.

La ricerca per Natura Equa nasce alla fine degli anni Novanta, ben prima dell’affermarsi del mercato del bio e del diffondersi dei prodotti equo-solidali. È stata un’iniziativa sincera, a nostro rischio: allora non c’era ancora domanda per questo genere di prodotti, siamo partiti senza sapere a chi avremmo venduto.
Ci siamo ufficialmente affacciati a questo mercato nel 2000. È stato un lavoro di ricerca non indifferente, anche perché l’offerta era ancora molto limitata e la comunicazione di questo tipo di prodotti acerba per non dire nulla, internet era agli albori ecc. Quando chiedevamo dove trovare coltivatori biologici, ci guardavano in modo strano.
Qual è la differenza principale tra un prodotto bio e uno convenzionale? Sotto il profilo della filiera e dei processi?
In generale, nel mondo del caffè, il contatto diretto con il coltivatore è molto raro.
Nel biologico però gli interlocutori non sono giganteschi ma piccole cooperative, che non solo mettono insieme più coltivatori (che altrimenti da soli e troppo piccoli farebbero fatica a sostenersi), ma forniscono loro consulenza e know-how di vario tipo – es. agronomica, di studio e analisi del terreno o della meteorologia – e li mettono in condizione di sussistere e accedere al mercato.
Anche dal punto di vista della coltivazione, è un metodo completamente diverso da quello convenzionale delle piantagioni intensive che, adottando fertilizzanti chimici e antiparassitari, a lungo andare impoveriscono il suolo e dunque limitano anche la capacità aromatica.
Come mai, in più, avete scelto il Fairtrade?
Ci siamo posti da subito in antitesi con il mondo delle multinazionali. Siamo stati tra i primi produttori di Fairtrade in Italia. Tanto è vero che oggi abbiamo 2 linee di questo tipo: una bio (Natura Equa, 100% arabica) e l’altra solo fairtrade (Kafequo, miscela di Arabica e Robusta), che si distinguono anche per gusto e corpo, più pronunciato nel secondo caso.
A proposito di sapore, ho trovato il vostro prodotto molto buono e piacevole, in bocca e allo stomaco. Mi pare di capire che ci teniate molto al gusto :-)
Proprio così. Un’altra nostra esigenza era che il prodotto non fosse solo equo e giusto, ma anche buono. Non sempre le due cose vanno di pari passo, purtroppo; mentre sono 2 obiettivi che è auspicabile coniugare.
Tanto più che noi abbiamo anche l’Academy interna, ci occupiamo di formazione gourmet e vogliamo rispondere anche a dei parametri di eccellenza e distinzione qualitativa.
Da questo punto di vista, una delle nostre più grandi soddisfazioni è stata la vittoria di Natura Equa nelle competizioni alla cieca della categoria Espresso all’International Coffee Tasting. Gareggiava insieme a tutti gli altri caffè, anche non biologici. È un risultato molto significativo.
Durata e conservazione del caffè
In conclusione, parliamo un po’ di conservazione del caffè macinato nella dispensa di casa. Ecco qualche dritta.
- A rigore il caffè va consumato fresco, cioè entro 3/4 mesi dalla sua tostatura e confezionamento. È pur vero che oggi le confezioni vengono saturate di azoto (che sottrae tutto l’ossigeno), dunque finché il pacchetto è sigillato i processi di ossidazione sono inibiti.
- Il caffè va conservato in luogo asciutto, dato che l’umidità gli è nemica. Chi lo conserva in frigo, dovrebbe sapere che la confezione deve essere perfettamente sigillata (cioè in un barattolo di alluminio o di vetro, con coperchio). Altrimenti è meglio tenerlo fuori, in un luogo asciutto.

Dove acquistare Natura Equa
Natura Equa si può acquistare online direttamente dal produttore, in diverse versioni:
- per macchina espresso
- macinato per moka, in pacchetto o in lattina
- in cialde con filtro compostabile in carta.
Vi metto il link per l’acquisto. Anzi, ancora meglio…
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