Tra il dire e il fare c’è… la terra. Ma la terra è bassa

Da qualche tempo il lavoro della terra viene molto idealizzato. Complice anche la crisi generale, che gli delega il compito di rappresentare una speranza concreta di sostentamento. Ma la strada è tutt’altro che facile, e c’è da chinarsi parecchio.

Sempre più spesso l’agricoltura viene considerata l’ultimo baluardo per una sorta di salvezza personale, economico-moraleIdealmente l’agricoltura potrebbe davvero dare questa impressione e, probabilmente e per certi aspetti, ha tutti i numeri per esserlo davvero.

In base a una ricerca di Coldiretti-SWG su I giovani e la crisi, «la metà dei giovani tra i 18 ed i 34 anni sono convinti che sia meglio lavorare la terra piuttosto che fare un lavoro precario, preferendo un lavoro di campagna a quello dell’ufficio». Negli istituti professionali agricoli e nelle facoltà di agraria è boom di iscrizioni. Negli adulti ben «il 28 per cento scambierebbe il proprio lavoro con quello dell’agricoltore» per garantirsi «una vita più sana» e una «maggiore libertà ed autonomia».

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Dettaglio dalla Festa della lavanda 2014 presso l’Azienda Agricola Jenny Green.

Anche nel settore a cui appartengo – quello della coltivazione, trasformazione e commercializzazione delle piante aromatiche – aumenta il numero dei soggetti che partecipano ai corsi di formazione organizzati dalla Fippo, la Federazione Italiana Produttori Piante Officinali. Eppure, come afferma il presidente Andrea Primavera, meno dell’1% di chi dimostra interesse nelle piante officinali intraprende poi un’attività d’impresa in questo ambito e ciò a causa della varietà e complessità del settore (io credo anche per motivi di “idealizzazione” del lavoro della terra).

Molto spesso trovo persone che mi chiedono se possono venire a lavorare da me, anche per poche ore, senza troppe pretese sul genere di lavoro. Mi dicono che sono una persona fortunata, che faccio un lavoro bellissimo.

Ne sono consapevole, intendiamoci, il mio è un lavoro molto interessante e stimolante, diversificato, che mi permette di lavorare con le stagioni e i suoi ritmi. Il grande problema è quello di vedere idealizzato un lavoro che poi alla fine deve essere davvero in grado di produrre un reddito sufficiente per il sostentamento personale, famigliare e dell’azienda stessa.

Produrre, in agricoltura, è l’aspetto più semplice. Basta avere la terra. Basta “studiare”, tararsi sulla variabilità delle stagioni cercando di prevenire al massimo danni dovuti alle bizze del clima, organizzare la raccolta, lo stoccaggio e, perché no?, la trasformazione. E comunque tutte queste azioni, per quanto apparentemente semplici, hanno delle dinamiche complesse che devono andare ad incastrarsi perfettamente come un puzzle.

E dopo? “Dopo” viene la parte più difficile: la commercializzazione.

La trasformazione della materia prima comporta una serie di problemi igienici, fiscali e amministrativi, che fanno passare tutta la poesia del lavorare la terra.

A chi vendere? Dove vendere? Come proporsi? E, come se non bastasse, ci sono aspetti molto complicati che riguardano l’eventuale trasformazione di una materia prima passando, per esempio, dalle mele alla mostarda di mele, dalle pere alla composta di pere, dall’uva al “sugol”,* dalle verdure dell’orto ad una meravigliosa giardiniera, dal luppolo alla birra, dalle erbe aromatiche agli oli essenziali e chi più ne ha più ne metta. Senza trascurare poi il fatto che la trasformazione di una materia prima comporta tutta una serie di problematiche igienico-sanitarie, fiscali e burocratico-amministrative che davvero fa passare un po’ tutta la poesia del lavorare la terra.

Eppure lavorare in piccole realtà agricole ha i mille vantaggi rappresentati da una vita sana, dalla possibilità di svolgere azioni in simbiosi con la natura, dallo scegliere in prima persona ciò che vorremmo per noi così come per il consumatore finale in una sorta di ideale fusione di intenti. Scegliere che dalle nostre fatiche nasca qualcosa di bello, buono, sano dandogli così un valore diverso da quello rappresentato meramente dal denaro, senza aver paura delle fatiche e nella consapevolezza che la terra è bassa. Davvero.

* Budino d’uva.

Foto di questa pagina: © Antonella Ziliani. Immagine di copertina: Lavoro agricolo; in primo piano foglia di Liquidambar Rotundiloba.

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