Non possiamo avere la botte piena e la moglie ubriaca, benché ci piaccia crederlo. O il cibo è naturale e sano o è esteticamente perfetto.
Una (mezza) piacentina a Milano
È venerdì e sono a Milano a trovare mia madre. Siamo entrambe stanche, ma per motivi diversi, anzi opposti: io di annaspare nel mio marasma quotidiano, che più si svolge in mezzo alle folle e più mi toglie energie; lei, di stare sola e non poter più contare sul suo dinamismo di una volta. In più fa un caldo torrido: siamo in giugno, ma sembra luglio inoltrato.
Dopo una mattina a girare per commissioni, la maggior parte senza esito, rientro da lei in orario di pasto. Nessuna di noi ha voglia di trafficare ai fornelli, né ha appetiti particolari: decidiamo di pranzare a frutta.
Pranzo a base di frutta: sì, ma dove la compro?
È tardi per orientarsi tra i mercati contadini, che pure a Milano non mancano, e rifornirmi al supermercato non se parla; dunque vado dal fruttivendolo di quartiere, confidando in quella che in gergo critico si chiama ‘bottega di prossimità’. Del resto la mamma abita in una zona relativamente centrale, molto viva e ben fornita.
Il fruttivendolo di quartiere
Il negozio è gestito da un giovane uomo, premuroso e gentilissimo. Si capisce che la sua bottega è un punto di riferimento storico nel quartiere. Entro, mi guardo in giro, l’impatto estetico è notevole. C’è tutto, magnificamente esposto ed è tutto perfetto. Senza un difetto, un’imperfezione, senza quasi differenze tra un esemplare e l’altro nella stessa specie.
La perfezione (quando è dopata) mi mette in imbarazzo
Qual è il problema? La perfezione. Sembrerà strano, ma mi crea angoscia. È proprio un bel negozio, sia chiaro, e io stessa detesto la trascuratezza; ma la frutta e verdura che vedo cogliere dai produttori che frequento non ha quella faccia lì. Ne ha un’altra. Peggiore? No: più vera e più semplice, dunque per me migliore, meno stereotipata.
Penso: come facciamo a orientarci, se i canoni sono questi? Così finti, irrealistici, impeccabili, così lontani dall’eccentricità della natura? Chi ci dice che quello estetico sia il parametro con cui valutare verdura e frutta? Ci conviene che sia così? Non dovremmo forse esigere un metro diverso per la nostra alimentazione?
Mentre mi interrogo, finisco la perlustrazione. Mi fermo e pronuncio una frase che, mi rendo conto, suona come una striata di unghie sulla lavagna:
Vorrei della frutta di stagione e italiana, grazie.
Sottintendo, ma taccio, Possibilmente, perché a quel punto risulterei ancora più antipatica.
Escludendo melone e angurie, che preferisco acquistare quando sarà il momento da chi le coltiva nella mia zona, ci soffermiamo su fragole e ciliegie.
Le fragole sono enormi e sembrano quasi verniciate. Le ciliegie sembrano ancora più finte, tanto sono gigantesche e regolari. Me ne mostra di due qualità. «Non le ha più… normali?» chiedo. «Sì, queste» e mi propone una terza qualità, meno abnorme ma comunque dal calibro grande e perfetto; costa la bellezza di 18 € al chilo.
La zona non è delle più popolari e dunque ci sta. Ma qui non mi interessa tanto parlare del caso specifico. Mi interessa discutere il messaggio generale che si legge in filigrana, non solo qui, anche in alcuni store dove vige una comunicazione del food molto estetizzante e chic.
Cibo perfetto o di qualità?
Il messaggio che cordialmente detesto e a cui faccio di tutto per sottrarmi e sottrarre è: il cibo di qualità è perfetto e costa caro.
Te lo mostro perfetto per appagare la vista, dato che gli altri fattori (come il sapore o i criteri di produzione) sono meno efficaci, almeno in prima battuta.
Se poi lo volessi pure bio, ti farò credere che potrai ottenerlo a parità di perfezione estetica (mentre nella realtà difficilmente è così), perché quello sarà per te il criterio di valutazione imprescindibile: bellezza = qualità. Logicamente costerà ancora di più e rientrerà a maggior ragione tra i beni di lusso.
Ecco: a questo tipo di messaggio io dico: NO, GRAZIE.

Torno a casa, assaggio le ciliegie perfette: sono spinte, non c’è niente da fare. La consistenza è dura, soda, ma il sapore impallidisce di fronte a quello a cui la mia bocca si è (ri)abituata da quando ho accorciato la filiera delle mie forniture.
Goodnews: trova la soluzione che fa per te
Se volete una panoramica delle soluzioni che ho sperimentato e propongo per affinare i propri parametri e aumentare la qualità e il potere d’acquisto della nostra spesa, le trovate tutte catalogate qui: Dove comprare a prezzo equo e filiera corta. Ce n’è per tutti i gusti e le necessità, anche di tempo (che oggi è il bene più raro).
Cambiando argomento, ma in realtà no
Tanta roba, sferica
Girando quel giorno per Milano, non posso fare a meno di notare che la città è tappezzata di manifesti ciclopici che raffigurano una bellissima modella in bralette, un capo di lingerie a metà tra un corpetto corto e un reggiseno. La donna è inquadrata a mezzo busto e il pizzo nero copre/scopre un seno perfettamente sferico.

I manifesti sono davvero enormi, sorta di gigantografie. Un tormentone visivo che certamente per molti avrà rappresentato un’iniezione eccitante e positiva o quantomeno avrà fornito un suggerimento di stile.
A me no, a me inquieta. Quella donna è bellissima ed evidentemente gioca un altro campionato rispetto al mio; ma devo ammettere che continuare a incrociarla con gli occhi, senza potermi sottrarre, e in quelle dimensioni, mi investe di continuo in un paragone non desiderato. Senza volerlo, martella in me questa perversa tentazione: «Ecco come dovrei essere».
Torno a casa serbando in testa due immagini: la frutta perfettamente sferica e quel seno fatto con il compasso. Due unità di misura, due canoni di bellezza in cui non riesco a identificarmi, nonostante, in entrambi i casi, il tono persuasivo della proposta. La messa in scena di ciò che è desiderabile e irraggiungibile nello stesso tempo.
Per il momento non mi rassegno e continuo la mia ricerca di cibo vivo e vitale, senza finzioni.
Pezzo interessante, riflessioni acute e paragoni mai banali… Com’è nel tuo stile. Complimenti!
Grazie Mariapaola, fedelissima lettrice!