L’agricoltura non è naturale, è umana. Questo è il problema
Con il tempo ho capito che l’agricoltura non è un’attività naturale, ma culturale. È un lavoro pienamente umano, che interferisce con la natura e la inclina ai propri bisogni.
La certificazione biologica è un requisito necessario? Secondo alcuni produttori sì: è il punto di partenza insindacabile da cui iniziare a confrontarsi e ragionare. Secondo altri no, è un sistema in cui il controllato paga il proprio controllore e in cui i paletti sono più formali-burocratici che di vera sostanza.
Un’altra obiezione è che il costo di certificazione debba gravare su chi rispetta l’ambiente, cioè sui virtuosi: e se invece fossero tutti gli altri a dover pagare di più? E magari a essere segnalati in etichetta come ‘non biologici? Il dialogo è aperto – e noi consumatori continuiamo a sognare.
Con il tempo ho capito che l’agricoltura non è un’attività naturale, ma culturale. È un lavoro pienamente umano, che interferisce con la natura e la inclina ai propri bisogni.
Tutto ciò che è buono è bio? E tutto ciò che è bio è buono? È una questione di soglie di attenzione.
Una legge incoraggiante sul biologico in Italia sta per essere (speriamo) approvata al Senato. Mi aggrappo alle parole di Lucio Cavazzoni per apprezzarla.
Adesso tutti fanno bio perché è di moda e crea fatturato. Ma specialmente nel vino, ‘bio’ vuol dire ancora poco. Provo a spiegare perché, grazie a Giovanni Bietti.
Molti avranno visto Report qualche sera fa… Il bio vive un momento di ribalta e nella corsa all’ultima moda i grandi avvistano montagne di soldi e si buttano.
In tanti credono che il bio non esista: quando va bene è una moda, quando va peggio è una truffa. Ieri Report ha aggravato il sospetto…