Il bio: favola o falso mito?
Nonostante le mie frequentazioni ‘di settore’, sono circondata da tante persone che diffidano dal bio e anzi credono che non esista: quando va bene è una moda, che richiama tanti a spartirsene la torta; quando va peggio è una truffa.
Nel mezzo, sarebbe una delle tante trovate commerciali che servono a catalizzare il bisogno dei consumatori di essere rassicurati, blanditi, compiaciuti nelle proprie illusioni.
Bio illogico: frodi e tratte dall’est
Numerose inchieste giornalistiche e indagini confermano in parte questa ipotesi, ovvero che il bio, in qualche caso, è una colossale presa per i fondelli.
Recentemente, il servizio di Report di Bernardo Iovene Bio Illogico, mandato in onda il 10 ottobre 2016, ha scoperchiato un ennesimo caso di truffa: il principale granaio europeo del bio sarebbe la Romania, dove esistono mediatori professionisti (italiani), che guidano gli imprenditori a camuffare il proprio prodotto, convenzionale, spacciandolo per biologico; salvo che poi il governo (rumeno) li scopre e li espelle.
Peccato, perché per esempio in Val Nure (PC), dove abito, o in Sardegna, che frequento, ci sono terreni intatti e incontaminati, biologici da sempre e per natura, che sarebbero l’ideale per rilocalizzare la produzione e valorizzare il territorio. Ma certamente in Romania tutto costa meno, dai terreni alla burocrazia alla manodopera. Ovvio, no?
Polso della rete
Bene che sul web tutti stiano reagendo: dai consumatori indignati ai piccoli onesti produttori, alle catene commerciali, ai blogger e alle voci attente sul tema. Registrando qualche umore a caldo da Twitter:
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Una volta erano le gioiellerie …poi hanno scoperto il bio (AngelB)
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Le colture bio sulla superficie del nostro martoriato pianeta sono impossibili! (GaZ Blanco)
- Cosa aspettarsi da una UE che autorizza il formaggio con il latte in polvere? Il grano bio? Sicuro… (Alessandro D’Andrea)
- Insomma l’unica certezza che abbiamo sulla certificazione bio è che ci prendono per il c..o! (Damiano)
- Dopo questa puntata di Report gli hipster del biologico dovranno inventarsi un’altra illusione (Cinzia Bancone)
- Ma che veramente pensavate che dietro al Bio ci stava il contadino con la zappetta?! (Umberto Carotenuto)
- Enti certificatori si sono accorti che il grano non era bio quando ormai era già stato cotto e mangiato (Reportime)
Alcuni documentano con orgoglio i propri frutti non trattati, come per esempio il Gruppo di acquisto solidale di Cesano di Roma, che esibisce un caco con il bollino della natura.

Secondo me
A valle di tutta la serie di considerazioni e reazioni di cui pullula la rete, dico la mia.
- Bene che queste cose saltino fuori, per quanto ci gettino nello sconforto.
- Le frodi ci sono dappertutto; il vero delitto è il danno enorme che creano a tutto il comparto e ai tanti piccoli produttori seri che fanno onestamente il loro (sporco, sì) lavoro.
- La scritta “bio” non è la soluzione di tutti i mali.
- Se il controllore è pagato dal controllato, la terzietà è a rischio. Io per esempio, all’opposto, non disdegno quella che alcuni produttori chiamano ‘autocertificazione’, vincolata unicamente alla parola di chi ci mette la faccia. Questa pseudogaranzia è basata espressamente sulla fiducia e diventa attendibile solo se si conoscono personalmente gli interlocutori e si hanno gli strumenti di conoscenza per capire come lavorano davvero.
- Filiera lunga vuol dire tanti passaggi, cioè tante frontiere (in senso lato e a volte anche in senso stretto) che il prodotto deve attraversare per arrivare sino a noi: no buono.
- Grosse quantità, larga scala, grossisti, tanto commercio a seguire e dopare la produzione: no buono.
La soluzione che propongo è sempre quella: comprare locale (almeno puoi prendertela con qualcuno; ma il grosso delle volte gli sarai grato) e comprare scegliendo, cioè destinando a questa operazione un tempo congruo della nostra vita. Un tempo giusto: non comprimibile, non demandabile e non subordinabile ad altre cose che crediamo più importanti.
Ne avevo già parlato qui, agli albori del blog: È logico, è bio. Se però conosci i produttori.
Vuoi le prove?
Sollecitati dall’inchiesta di Report, in tanti riportano che non ci sarebbero prove acclarate del fatto che il bio faccia meglio.
A parte che sfido chiunque a comprare da produttori locali selezionati e a non accorgersi della differenza: al palato, allo stomaco, al portafoglio (non si spende tanto di più, per una qualità nettamente migliore), detto questo penso: finché il bio resta un mestiere, siamo piuttosto lontani dall’obiettivo.
Come dice la signora Bonetti, produttrice pioniera di mele biologiche in Val di Non (territorio ostaggio degli sfruttamenti dall’agro-industria), che a suo tempo avevo intervistato:
Agricoltura biologica non è una semplice sostituzione di prodotti chimici di sintesi con prodotti naturali ammessi: è il tentativo della ricostruzione di equilibri biologici e anche culturali, equilibri di cui l’agricoltore è sempre stato il custode.
Il bio non è un’etichetta. Può solo essere legato al rispetto degli ecosistemi e alla capacità di generare futuro che dobbiamo chiedere a ogni nostro gesto. Finché, da qui, il biologico non si trasforma in una necessità e in una coscienza, sarà sempre passibile di contaminazione.
Nota Interessante leggere gli interventi di associazioni come AIAB, che hanno a cuore il problema della terzietà e serietà dei sistemi di garanzia, affinché non venga danneggiato tutto il comparto. Nella lettera sul falso bio indirizzata al Ministro delle politiche agricole, AIAB scrive:
È indispensabile che si intervenga a tutto tondo, con una priorità sui controlli perché […] se continuiamo ad avere la spada di Damocle di scandali, tutti commerciali e non di singoli produttori, qualcosa ancora non funziona come dovrebbe, e va immediatamente risolto, perché questa splendida occasione di sviluppo dell’agricoltura italiana non deve essere messa a rischio dal fatto che basta che il mercato cresca».
Immagine di copertina: banco del Vivaio dell’antico podere di Novellara (RE), espositore al Gran Galà del Tortel Dols, 8-9 ottobre, Colorno (PR), Foto © Slow food Parma. Se fate un giro sul sito del Vivaio, scoprirete che valorizzano persino il letame dell’asina Gilda, che possono fornirvi in barattolo.
La penso esattamente come te!!!
E siamo già in due ;-)