La filiera corta: 3 fonti ci aiutano a capire cos’è

Per capire il significato e i vantaggi della filiera corta citiamo tre fonti di provenienza molto diversa. Tre voci complementari ma convergenti, che enfatizzano ciascuna un aspetto particolare della questione. Quale questione?

1. Ridurre la distanza

La prima è una fonte super partes, istituzionale, che è affiorata per caso – e di sorpresa – durante la ricerca in rete. Proviene dalla pagina web che un ente locale toscano ha dedicato al tema, l’ARSIA, Agenzia Regionale per lo Sviluppo e l’Innovazione nel settore Agricolo. Ne riportiamo il testo, che ci ha colpito per limpidità di sintesi.

«Il percorso che ha segnato il sistema agro-alimentare degli ultimi decenni ha portato allo sviluppo di filiere lunghe, in cui la distanza tra produttori e consumatori si è fatta sempre maggiore, complicata da un numero crescente di soggetti intermediari.

Questo tipo di assetto ha comportato conseguenze rilevanti a carico di entrambi gli attori principali favorendo, da una parte, l’esclusione dei piccoli produttori dal mercato, perché poco competitivi e incapaci di garantire gli standard produttivi richiesti, dall’altra, impedendo al consumatore di poter conoscere il percorso dei propri acquisti e di poter effettuare un controllo sostanziale sulla loro qualità.

«Inoltre, lo sviluppo di questo tipo di mercato ha favorito la scomparsa delle risorse territoriali, in termini di biodiversità (ridotto numero di varietà coltivate o allevate, e commercializzate), ma anche con l’erosione della cultura rurale, soprattutto gastronomica, dei contesti locali.

«In tempi recenti, proprio in risposta alla tendenza dominante, alcuni produttori e consumatori hanno elaborato nuove iniziative, volte alla ri-localizzazione dei circuiti di produzione e consumo, attraverso la riscoperta di un forte radicamento sul territorio.

La Filiera corta, quindi, si configura come una strategia alternativa che possa consentire agli agricoltori di riconquistare un ruolo attivo nel sistema agro-alimentare, con la collaborazione degli altri attori della filiera, di cui entrano a far parte, come soggetti attivi, anche i consumatori.

Una sintesi chiara e lineare, grazie Arsia.

Qui il focus era sul comparto agroalimentare; ma la filiera è un argomento che riguarda tutti i settori per cui, con la prossima fonte, ci spostiamo a parlar di scarpe.

2. Per un economia di relazione

La seconda è una fonte diretta, per così dire sul campo, e proviene dalla viva voce di un imprenditore del comparto manufatturiero, Pierluigi-detto-Gigi Perinello di Ragioniamo con i piedi. La citazione è estrapolata da un’intervista video by Sherwood TV.

Perché proprio Gigi Perinello? Perché ha alle spalle (anzi, ai piedi) tanti anni di esperienza, perché la sua comunicativa è ricca di energia e ci contagia in positivo; e infine perché l’incontro che feci con lui e altri strani personaggi, in questa speciale occasione, mi diede coraggio e determinazione per realizzare il progetto di Considerovalore. Trascrivo dall’intervista:

Noi diamo ai produttori, quando va bene, il 15% del prezzo di negozio dei prodotti. Succede nelle scarpe, come succede con le arance, con la verdura, con l’abbigliamento e qualsiasi altra cosa.

«Al produttore – che è un operatore sociale: si interessa di responsabilità sociale d’azienda, del pagamento dei fornitori, degli operai, della ricerca, della difesa della conoscenza, della difesa del territorio e dell’ambiente – va, quando va bene, il 15% di quello che noi paghiamo nei negozi.

«Dobbiamo ricomporre un tipo di economia basata sulla relazione diretta fra utilizzatore finale e produttore, perché solo in questo modo coinvolgiamo – e vale per tutti i settori – l’utilizzatore (quello che chiamavamo il consumatore), che deve avere una funzione attiva nella nostra relazione. Perché oggi il consumatore viene tenuto ai margini, in una situazione resa opaca da tutta una serie di artifici.

Abbiamo bisogno dell’assoluta alleanza con il consumatore, che deve diventare un soggetto primario nella relazione: deve interessarsi di quello che sta comprando, del valore della persona che glielo sta vendendo, del valore della cosa che sta comprando, di come è fatta e soprattutto delle ricadute sociali che questo prodotto ha.

Osservazioni che, provenendo dalla voce militante di un esponente del mondo delle imprese (etiche), ci sembra che meritino ancora più attenzione.

Luoghi non convenzionali di vendita di Ragioniamo con i piedi.

3. Prossimità geografica, ma anche sociale

La terza è una fonte di studio. Alessandra Iero, divulgatrice scientifica, rientrata in Italia dopo 14 anni di ricerca universitaria in Australia nel campo delle scienze ambientali e dell’ecotossicologia, ha aperto un blog in lingua italiana, che si distingue immediatamente per serietà di approccio e di metodo.

In questo articolo sulla filiera corta, Alessandra fa riferimento a una selezione di fonti specialistiche e ci offre una sintesi in chiave internazionale, corredata da una panoramica di esempi e best case europei, la cui consultazione è molto istruttiva e stimolante.

L’articolo merita di essere letto per intero, soprattutto per chi voglia osservare e trarre spunto da iniziative già collaudate e consolidate. Riportiamo solo uno dei passaggi iniziali, che sottolinea come il concetto di vicinanza contempli due aspetti:

Nel concetto di filiera corta vi è incapsulata non solo un’idea di prossimità geografica, ma anche e soprattutto di prossimità sociale, che implica la capacità della catena di stabilire un canale di comunicazione tra produttore e consumatore.

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Detto questo? Mettiamoci all’opera! Sembra un paradosso, ma la strada per ridurre le distanze è piuttosto lunga.

Se per caso vuoi approfondire e fugare ogni dubbio terminologico, leggi anche l’articolo Filiera corta o chilometro zero: che differenza c’è?

Immagine di copertina: Fiera dei fiori e frutti antichi, Castello di Paderna, Pontenure (PC), foto Milena Archetti.

Un commento su La filiera corta: 3 fonti ci aiutano a capire cos’è

  1. Nella sua ricerca la giornalista ha a disposizione 115 Usd circa la meta della spesa alimentare settimanale per una famiglia di due persone del Massachusetts, e considera locale il cibo prodotto in un’area molto maggiore di quella italiana (70 chilometri): diametro di 200 miglia (321 chilometri) considerando che il Dipartimento dell agricoltura degli Stati Uniti definisce locale quello che viaggia per meno di 400 miglia (643 chilometri), mentre gli americani localivori hardcore considerano locale quello prodotto non piu lontano di 100-150 miglia (170 – 241 chilometri). Nella sua ricerca la giornalista e costretta a eliminare moltissimi alimenti, per esempio caffe, avocado, salmone, limoni, noci, barrette proteiche, olio d oliva e gran parte dei condimenti e prodotti della dispensa (sale, pepe, senape, pasta, riso, aceto) e tanti altri alimenti, che anche in parte non sono locali, e moltissimi preparati dalle industrie. Per questo la giornalista al quarto giorno si trova in una situazione critica ed e costretta a ricorrere a quella che chiama l Eccezione Marco Polo dei localovori che si permettono di acquistare cibi quali il sale, il caffe, l’olio, l’aceto e le spezie che Marco Polo avrebbe potuto portare a casa dalla Cina su un’imbarcazione non refrigerata. La giornalista termina la sua esperienza concludendo che mangiare locale eco-consapevole e molto piu difficile di quanto si possa pensare, a meno di non applicare l’Eccezione Marco Polo e cioe inserire nella propria alimentazione anche qualche alimento non locale. Con la nuova legge in Italia l alimento locale e la filiera corta identificano una politica economica o commerciale che predilige l’alimento prodotto entro un territorio circoscritto e con una distribuzione diretta secondo un concetto “dal produttore al consumatore” in contrapposizione all alimento globale. Come si vede, i due concetti di chilometro zero e di filiera corta non fanno alcun riferimento alla sicurezza e alla qualita dell’alimento, se non forse alla sua freschezza e soprattutto, salvo alcuni ortaggi, hanno una grande limitazione di applicazione in particolare nelle citta di grandi e medie dimensioni, come dimostra anche l’esperienza della giornalista americana. Inoltre i termini locale, localismo e quindi anche localivoro non devono essere fraintesi come sinonimo di qualita e hanno solo significato di un cibo prodotto vicino alla nostra residenza, nei dintorni piu o meno ampi della nostra citta, grande o piccola che sia.

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