Il prezzo giusto di un chilo di lavoro contadino

Quanto costa un chilo di onesto lavoro contadino? Siamo disposti a riconoscere un prezzo equo a chi produce?

Il 19 aprile 2017 Antonella Ziliani, coltivatrice di piante aromatiche e maestra nella distillazione degli olii essenziali – una produttrice che seguo da sempre, in rete e appena posso anche in carne e ossa –, scrive su FB questo post:

C’è qualcosa di profondamente insano (oltreché ingiusto) nell’incapacità dei contadini di dare un valore economico al proprio tempo lavorativo. Si cerca di valorizzare un cespo d’insalata, un chilo di pomodori, un quintale di farina.

Provate a chiedere a un contadino: qual è il valore orario del tuo lavoro? Credo che nessun agricoltore riesca a rispondere a questa domanda. E se mai si avventurasse in un calcolo così, approssimativo, allora magari gli verrebbe da pensare – perché di certo non lo direbbe, vergognandosene un po’ – che sarebbe un bene cambiare lavoro, oppure che il prezzo dei propri prodotti non è assolutamente adeguato.

Quindi comperate contadino e, preferibilmente, a un prezzo equo (che non significa necessariamente “più caro”), ma di certo non sono mica gli “zerovirgolaicseuro” al chilo che possono aiutare i lavoratori dei campi.

Il post suscita un tot di condivisioni e reazioni di consenso, sia tra i colleghi produttori che ci si riconoscono (non solo agricoltori, anche artigiani), sia tra altri contatti che presumo siano acquirenti come me.

Scorro i commenti e mi colpisce in particolare questa frase: «Perché voi siete prima di tutto paladini del territorio e come tali meritereste ben altri riconoscimenti».

Una spesa riconoscente

Occupandomi di filiera corta o ridotta, cioè di tutti quei sistemi utili a ridurre i passaggi tra produttore e acquirente, il prezzo è per me un argomento cruciale.

Oggi fare una spesa diversa – dove per ‘diversa’ intendo soprattutto: più cosciente e ponderata, meno compulsiva, che io però non amo chiamare spesa consapevole –, significa non solo orientarsi tra le variabili legate al prodotto (coltivato in che modo? prodotto dove? con la manodopera trattata come?), ma anche in relazione al contesto di vendita e distribuzione dove il prodotto può essere acquistato.

Più la filiera si accorcia e più mi aspetto non tanto che il prezzo scenda, ma che remuneri meglio il produttore.

Più la filiera si accorcia e più mi aspetto non tanto che il prezzo scenda (anche, ma dipende dai termini di paragone; la grande distribuzione ci abitua a un sistema fortemente al ribasso), quanto soprattutto che possa remunerare meglio il produttore: il suo lavoro, le scelte che compie a favore della salute mia e del territorio, il suo ruolo di custode, artigiano, tramandatore-innovatore, datore di lavoro.

Viceversa, più la filiera si allunga (in senso geografico o commerciale o ambedue le cose, come ho spiegato qui), più i passaggi da retribuire aumentano e più il produttore deve limare il suo ricavo per restare competitivo.

Filiera corta o chilometro zero: che differenza c’è?

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In altre parole tutte le volte che un produttore accetta un sistema di rivendita lungo e molto intermediato, otterrà visibilità e distribuzione massiva, ma difficilmente sosterrà una negoziazione favorevole per lui.

Infatti non sono pochi i produttori che rifiutano la grande distribuzione, per non svilirsi. O viceversa, che non riescono comunque a soddisfarne le richieste, perché non possono garantire rifornimenti e quantitativi di larga scala, a meno di non essere configurati essi stessi come una piccola industria.

Dunque la prima osservazione che mi sento di fare è: accertarsi di riconoscere il giusto valore a chi produce è una delle condizioni essenziali per fare una spesa il più possibile sensata e lungimirante, almeno tanto quanto lo sono tutte le altri variabili che oggi ci educhiamo a riconoscere: la coltivazione biologica, la prossimità geografica, la cura artigianale ecc.

Ne parlo in quest’altro post: Dove comprare a un prezzo equo per chi vende e per chi compra?

Frutta-e-verdura-km-zero_Cascina-Santa-Brera

La spesa contadina a km zero: dove farla a prezzo equo

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Questione di parametri

Mi torna in mente il bel servizio che Linea Verde dedicò a Irene di Carpegna, la titolare di Cascina Santa Brera, azienda biologica di San Giuliano Milanese, MI, che ha scelto di snobbare qualsiasi linea distributiva che non sia la vendita diretta tramite la consegna a domicilio, i mercati, lo spaccio aziendale e i Gas.

Il conduttore, il mitico Patrizio Roversi, provoca simpaticamente Irene e le chiede: «Allora Irene, hai convinto la gente a pagare un po’ di più la roba buona da mangiare, o no?»

Eh, mi fanno sempre questa domanda: “Ma come mai le tue uova costano così care?” E io rispondo: “La domanda giusta è: Perché le altre costano così poco?”

Foto di copertina: bilancia per la vendita presso l’azienda Verde Lattuga, PC, produttore ortofrutticolo dai criteri severi (alta montagna, rispetto della biodiversità, no alla chimica e ai derivati animali).

2 commenti su Il prezzo giusto di un chilo di lavoro contadino

  1. Ciao sono Salvatore,
    Se piove il raccolto va male,
    Se non piove il raccolto va male,
    Se il raccolto va bene cala il prezzo,
    Se cala il prezzo si lascia il prodotto in campo,
    La soluzione produrre solo quanto si vende direttamente.

    1. Ciao Salvatore, grazie del tuo passaggio. Conosco diversi (piccoli) agricoltori che, da quando hanno optato per la filiera corta e una politica di servizio al cliente che vada magari un po’ oltre la semplice vendita in campo, riescono a distribuire tutto senza rimanenze, lavorando quasi solo sull’ordinato prenotato. Strike!

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